A maggio voteremo per eleggere il nuovo parlamento europeo. L’intervento di Francesca Romana D’Antuono, co-presidente di Volt Europa, e Silvia Panini, per una politica migratoria efficace e umana.
Di Francesca Romana D’Antuono e Silvia Panini
A Roma, Ousmane Sylla, un ragazzo di 22 anni rinchiuso nel centro di permanenza per il rimpatrio di Ponte Galeria, si è tolto la vita pochi giorni fa. L’ultimo messaggio lo ha dipinto su un muro, un ritratto sbiadito di se stesso, una richiesta di rispedire la propria salma in Africa, e la denuncia sul trattamento inumano che gli è stato riservato. Dalle istituzioni nessun accenno alla necessità di porre fine a tragedie come questa, ma solo di placare le rivolte scatenatesi attorno al centro. Come sempre però, esiste una dimensione che trascende i confini nazionali del nostro Paese. L’UE può infatti farsi garante dei diritti, oppure scegliere di guardare altrove.
Tra i temi che forse di più hanno facilitato l’avanzare dell’estrema destra in Italia e in Europa in generale, c’è la migrazione. Nel 2015 l’ultima grande “crisi dei rifugiati” europea ha dato il via a un’ondata di odio e xenofobia cavalcata dalla destra ed estrema destra populista, che ha trovato terreno fertile in un’Europa che stentava a riprendersi dalla crisi del debito e ferita dalle politiche di austerity. Persone in movimento e richiedenti asilo erano – e sono ancora – il perfetto nemico immaginario, da demonizzare e marginalizzare per sentirsi ancora padroni di qualcosa.
Dopo quasi 10 anni però, non solo la destra ha ottenuto una completa egemonia culturale sul tema, ma ha reso il suo approccio securitario sistemico e dominante anche nelle forze partitiche di sinistra, smantellando, pezzo a pezzo, tutte le forme di “resistenza” politica o valoriale.
Il nuovo Patto sulle migrazioni e l’asilo approvato a dicembre dall’UE si può sintetizzare in tre concetti principali: respingere, trattenere e detenere. Questo patto si basa su cinque pilastri, tra cui la gestione dell’asilo e delle migrazioni; la risposta alle crisi migratorie; le procedure di asilo; l’implementazione dello European Dactyloscopie (Eurodac); le nuove procedure di screening.
E dunque i parametri per definire una situazione “crisi migratoria” vengono demandati al decisore politico dei singoli Stati dove, per esempio, la categoria dei migranti economici – cioè quelle persone che, almeno in teoria, non migrano per ragioni umanitarie e dunque non possono beneficiare dello status di rifugiati – entra nel dibattito pubblico, ma senza un chiaro inquadramento giuridico. Inoltre, Eurodac verrà implementato con dati biometrici e l’età minima per l’identificazione e la conseguente potenziale detenzione ai fini di accertamenti sarà abbassata a 6 anni: le due misure suscitano notevoli preoccupazioni per il rispetto dei diritti umani e per l’imparzialità del trattamento, descrivendolo come “potenzialmente razzializzante”.
Con la virata a destra del prossimo Parlamento Europeo che prospettano i sondaggi la situazione potrebbe peggiorare.
In Italia, per esempio, le richieste d’asilo sono un inferno di rinvii, ricorsi, fogli e documenti che può durare anni, lasciando le persone migranti in un limbo di incertezza che ha risvolti pratici problematici e alimenta circoli viziosi. La condizione di irregolarità è però proprio il primo ostacolo all’integrazione delle persone migranti, le quali cadono più facilmente in sacche di esclusione sociale o povertà, quelle stesse condizioni che vengono strumentalizzate per inasprire politiche di gestione della migrazione. L’accordo per la deportazione e detenzione di persone migranti in Albania apre a problematiche ancora più gravi, come del resto già successo con gli accordi con la Libia, dove sono ormai comprovate pericolosissime condizioni di abuso e tortura.
Per esempio non è chiaro, nonostante le dichiarazioni del governo, se si applicherà il diritto Europeo o quello extracomunitario per processare le richieste di asilo; inoltre la deportazione in Albania dovrebbe applicarsi solo a uomini adulti (eccetto le persone “fragili” i criteri per identificare le quali sono ad oggi del tutto arbitrari) da cui consegue che le famiglie verranno separate. Da ultimo, non e’ chiaro come avverranno i cosiddetti “sbarchi selettivi”, quindi come le persone verranno smistate durante le operazioni di Ricerca e Soccorso (SAR, Search and Rescue), rischiando anche la violazione del diritto internazionale.
Per disinnescare questo circolo vizioso occorrerebbe prendere misure strutturali a livello Europeo. Intanto, partire da un processo di omogeneizzazione tra Paesi delle procedure di richiesta di asilo, soprattutto per quanto riguarda le tempistiche, la quantità di burocrazia richiesta e la tutela dei diritti umani. È cruciale istituire un sistema di redistribuzione equa e umana delle domande di asilo, in modo tale da alleviare la pressione sui Paesi di frontiera, nonché ristabilire una missione Search and Rescue europea che permetterebbe di ridurre le occasioni di traffico di esseri umani, nonché il carico economico e politico degli enti privati, come le ONG. Per quanto riguarda l’accoglienza, poi, occorrerebbe creare un fondo europeo e delle linee guida a supporto gli enti locali, responsabili dell’implementazione pratica delle politiche di integrazione nazionali: l’integrazione dovrebbe inoltre diventare una competenza comunitaria, perché immigrazione e accoglienza siano – effettivamente – due parti dello stesso processo.
Foto copertina: Sam Mann © Unsplash