I sigilli al circolo culturale Dal Verme, nel quartiere Pigneto, sono solo il penultimo capitolo di una brutta storia tutta italiana. Perché l’ultimo è di poche ore fa: il Dipartimento Patrimonio ha ordinato lo sgombero dell’Init in zona Mandrione, uno stabile che da anni propone musica dal vivo, nato dai ruderi di un capannone abbandonato, sottratto al degrado dall’associazione che lo gestisce. Pochi giorni fa, il 6 maggio scorso, invece, la Questura di Roma ha chiuso il circolo Dal Verme in base a una legge d’epoca fascista. L’Articolo 100 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (TULPS) è una legge approvata infatti con Decreto Regio in pieno regime mussoliniano e ancora oggi vigente seppur con alcune modifiche, nell’ordinamento della Repubblica Italiana. Nel testo della norma si legge: “Il Questore può sospendere la licenza di un esercizio nel quale siano avvenuti tumulti o gravi disordini, o che sia abituale ritrovo di persone pregiudicate o pericolose o che, comunque, costituisca un pericolo per l’ordine pubblico, per la moralità pubblica e il buon costume o per la sicurezza dei cittadini.”
Il Circolo Dal Verme, per chi non lo conosce, è una delle poche realtà che a Roma produce e propone musica dal vivo. Ha ospitato artisti emergenti e musicisti di fama internazionale, sempre a prezzi popolari. Un piccolo locale nel cuore del Pigneto, ex borgata, oggi quartiere semi centrale tra i più frequentati, di giorno come di notte. Per i gestori si tratta di “un’accusa infamante, che assimila la nostra associazione di promozione sociale e tutti i soci che ne fanno parte a forme gravissime di illegalità quali narcotraffico, associazione criminale, sfruttamento della prostituzione, eversione, traffico di armi.”
Ma cosa sta accadendo a Roma? Il quadro è desolante: cinema, locali storici, teatri, spazi per la di produzione culturale chiusi o sgomberati. E quello che è accaduto al Dal Verme, è successo, con motivazioni più o meno differenti, al Teatro Valle, ai cinema Alcazar e Aquila, al Circolo degli Artisti, al Rialto. Rischiano di scomparire i Teatri Tor Bella Monaca, del Quarticciolo, di Villa Pamphilj, Il Grande Cocomero, le Palestre Popolari, Viva la Vita Onlus. Il Villaggio Globale, la palestra popolare di San Lorenzo ed il circolo Angelo Mai rischiano lo sfratto. E come loro, molti altri.
No, non siamo d’accordo con chi sostiene che Roma stia morendo: la Capitale è viva, lotta contro burocrati e inefficienze, e ospita una delle maggiori comunità di artisti, musicisti, associazioni culturali, spazi. Privati, occupati o in assegnazione. Ma è governata da un potere cieco, mediocre, incapace. Inadatto ad amministrare il presente e ancor meno a delineare una seppur minima idea di futuro.
La cultura indipendente come quella più istituzionale sono le vittime predestinate di chi sta portando da molti mesi, al tramonto la città di Roma. Un tramonto che pare inarrestabile e attraversa gli spazi ma anche i festival e le fondazioni, motore del turismo e dell’economia di questa città. L’idea che il tintinnio delle manette si sostituisca alla creatività ed ogni forma di creazione contemporanea, è il preludio al buio più inquietante. Nel vuoto di potere, lasciato dalla caduta dell’ex sindaco Ignazio Marino, in molti accusano il commissario straordinario Tronca, così come i dirigenti della Questura e della Prefettura di Roma, di essersi spinti ben oltre i propri poteri legati all’ordinaria amministrazione. La gestione delle politiche sociali degli ultimi mesi ha visto i nefasti effetti provocati con gli sgomberi di occupazioni abitative e sociali e gli scontri in Campidoglio dello scorso sabato tra i movimenti per la casa e le forze dell’ordine sono la fotografia amara di quello che sta accadendo.
Ma chi governa davvero, oggi, Roma? Come è possibile che una delle più amate capitali del mondo oggi appaia sempre più come un grande villaggio di provincia, divorato dal degrado e da lotte di potere, sempre più lontano dalle metropoli europee e mondiali come Berlino, Londra, Parigi, New York?
(Il Rialto Sant’Ambrogio, Roma)
GLI SPAZI INDIPENDENTI E IL BUIO DEL “CASO ROMA”
Gli spazi indipendenti, privati, occupati o dati in gestione dalle istituzioni a collettivi ed associazioni culturali sono l’ossigeno per ogni capitale. Qui nascono e si formano gli artisti, i musicisti, i registi. Basti pensare ai movimenti e alle avanguardie artistiche nate dall’underground, dagli anni’60 ad oggi, a New York come a Londra, Berlino o Parigi. Il Forte Prenestino di Roma è il più grande d’Europa e il primo maggio di quest’anno ha festeggiato i 30 anni di attività. Qui è nata la scena punk romana. Come il Forte, molti altri spazi della Capitale, forniscono occasioni di socialità per gli anziani, i migranti e per tante persone sole. E soprattutto producono cultura dal basso.
Il Rialto di Roma forse è il caso più celebre ed emblematico. Luigi Tamborrino, presidente dell’Associazione Rialto Occupato, racconta così quello che è successo: “Il Rialto è stata una struttura importante per la città, dal 2000 al 2009. In questo periodo abbiamo prodotto circa 200 spettacoli teatrali e innumerevoli eventi. Nel 2009 abbiamo subito un primo sequestro che ha portato a tre processi con 9 capi di imputazione e altrettante assoluzioni. Nel 2014 abbiamo quindi riaperto lo spazio e a febbraio del 2015 subiamo un nuovo sequestro con le stesse motivazioni, nonostante avessimo già vinto i processi. Il motivo è sempre legato al fatto che continuano a voler considerare ciò che facciamo come attività meramente commerciali. Ma cosi non è. Si tratta di aver rigenerato stabili dati in concessione dall’amministrazione comunale dopo anni di abbandono che noi abbiamo recuperato, un patrimonio dismesso e dimenticato, che una volta rianimato diventa automaticamente oggetto di mire ed interessi. La politica dovrebbe saper risolvere le questioni complesse legate alla gestione del proprio patrimonio e invece delega ad altre forze dello stato più dedite alla repressione la risoluzione di queste vicende.”
Me la vicenda Rialto non finisce qui. Luigi Tamborrino continua: “Questa altra vicenda è incredibile. Nel 2004 stipuliamo un accordo con l’amministrazione comunale a cui seguirà una Delibera di Consiglio Comunale per delocalizzare il Rialto presso l’ex autoparco dei vigili urbani a Porta Portese. Partono i primi lavori e con l’arrivo di Alemanno tutto si ferma comportando a nostro avviso un notevole danno erariale. Neanche la giunta Marino poi è stata in grado di attivare questa delibera comunale dimostrando tutta la sua incapacità. Oggi quindi abbiamo il Rialto chiuso e sotto sequestro e l’ex autoparco dei vigili urbani in totale degrado. Al posto di rigenerare e sviluppare il tessuto territoriale più di qualcuno pare stia lavorando per riportare in abbandono e bloccare le energie vive della città. Evidentemente ci saranno delle convenienze.”
Non entriamo nel merito delle vicende giudiziarie che hanno portato alla chiusura del Circolo degli Artisti, punto di riferimento per 27 anni per la musica live a Roma e in Italia. Un locale celebre per i concerti indie e le serate di musica rock ma anche per le presentazioni di libri e le iniziative culturali che negli anni ha ospitato. E’stato chiuso nel marzo 2015: i vigili l’hanno posto sotto sequestro in esecuzione di un decreto del gip su richiesta di un pm. Ad oggi gli spazi che ospitavano il Circolo degli Artisti sono inutilizzati con un grave danno per tutta la città e per le decine di famiglie a cui, per 27 anni, il locale ha dato lavoro.
Il Villaggio Globale è gestito dalla cooperativa sociale officina territoriale 18 aprile, costituita nel 2002 dai militanti del centro sociale, in prima linea contro l’abbandono e il degrado dell’ex mattatoio. Il villaggio è stato riqualificato ed è pieno di opere di street art, sale comuni, spazi per concerti, un teatro e studi in cui sono ubicate molte realtà della cultura romana, sociali, di formazione, arte e cooperazione. Oggi rischia lo sgombero. Laura è presidente della cooperativa e ci spiega: “Da anni il villaggio globale rappresenta un presidio di riqualificazione, aggregazione e promozione sociale. Sono anni che chiediamo di poter regolarizzare l’assegnazione e pagare l’affitto, iter previsto dalla delibera 26 che prevede l’assegnazione a noi a canone sociale. Si tratta della delibera del 1995, della giunta Rutelli, mai applicata finora e che vorrebbero sostituire con la 140, approvata dall’ex sindaco Marino, che prevedendo l’assegnazione tramite bando, cancellerebbe con un colpo di spugna esperienze trentennali come la nostra. Noi non siamo contro i bandi, ma non si può pensare di sanare il collasso del patrimonio pubblico romano rivalendosi sull’associazionismo come ha detto Tronca, chiedendo di applicare il canone intero al posto di quello sociale. Oltre il danno, pure la beffa! Non abbiamo niente da nascondere, ma tutto da rivendicare”.
Ma i sigilli non si fermano: lo scorso ottobre è stata posta sotto sequestro la Casa della Pace di via Monte Testaccio ponendo fine a corsi, incontri, cineforum, presentazioni di libri e iniziative di solidarietà ospitate in questi anni. Dal primo maggio di quest’anno rischia la chiusura definitiva anche il Teatro La Comunità di Trastevere. Poche settimane prima è stato chiuso anche il neonato 2N di via Casilina. E per ultimi, almeno finora, il Dal Verme e l’Init.
E mentre il Rialto elabora e diffonde la sua piattaforma 2020 per ripensare e rilanciare la città di Roma, sabato 21 e domenica 22 maggio, l’Ex Dogana ospita RiStart – Festa di Quartiere. Due giorni tra musica e incontri con alcune tra le realtà che hanno fatto la storia recente della cultura e del clubbing della Capitale, come Amigdala, Rialto, Female Cut, Sweet Drops. E ci saremo anche noi di FACE Magazine.it, tra i media partner dell’evento.
(Teatro Valle, Roma – Foto: Fondazione Teatro Valle Occupato)
I CINEMA E TEATRI CHIUSI O IN CRISI
Dovevano portare la cultura in periferia. I Teatri di cintura sono il Teatro del Lido di Ostia, i Teatri del Quarticciolo, Tor Bella Monaca e di Villa Pamphilj. L’unico rimasto in funzione è il Teatro del Lido, affidato a un gruppo di associazioni locali. Le altre sale sono rimaste chiuse per un anno. Ora, forse riapriranno perché sono state finalmente assegnate le gare bandite in ritardo il 6 luglio, ma a causa dei ritardi i cartelloni sono da rifare. Resta chiuso invece lo spazio di Villa Pamphilj.
Il Teatro Valle è una delle pagine più oscure della gestione del sistema culturale di Roma. Il più bello e antico di Roma, è chiuso dell’11 agosto 2014, quando sono stati bloccate le attività della Fondazione Teatro Valle Bene Comune. Per tre anni il Teatro Valle Occupato aveva ospitato spettacoli, convegni, attività di formazione, seminari, trasformandosi in un laboratorio in cui partorire l’idea di una nuova gestione dei beni comuni. La necessità di un restauro – di cui dovrebbero occuparsi Comune e Ministero – ha posto fine a tutto. L’accordo con la Fondazione era basato sull’impegno a proporre un progetto di gestione. Ma ad oggi è tutto fermo.
RomaEuropa è forse uno dei pochi casi di eccellenza della produzione contemporanea. Centinaia di spettacoli, tra teatro, danza, circo contemporaneo, arte e musica. Decine di teatri e spazi coinvolti nelle 30 edizioni, che ogni anno, da settembre a dicembre, trasformano Roma in una delle capitali del teatro contemporaneo e della sperimentazione e portano in città migliaia di appassionati, tra artisti e spettatori, da tutto il mondo. Eppure nel dicembre 2014, Comune di Roma, Regione Lazio e Università RomaTre si sono ripresi il Teatro Palladium chiudendo la collaborazione con la Fondazione RomaEuropa che ha gestito il Teatro per dieci anni. Oggi la storica sala della Garbatella è gestita dall’Università RomaTre, ma è priva di un cartellone o di una stagione teatrale e non si conoscono i progetti per il futuro. Il festival RomaEuropa che negli ultimi anni ha subito tagli e riduzione dei finanziamenti riprenderà a settembre con la trentunesima edizione.
E poi ci sono le sale cinematrogafiche abbandonate, chiuse, in crisi o mai restaurate.
“Nella Capitale troppe tasse, così si chiude”. A lanciare l’allarme è l’Anec, l’associazione esercenti del cinema di Roma e del Lazio, che dati alla mano mostra come la crisi abbia avuto il suo terribile impatto sulle sale cinematografiche capitoline. Dal 2006 ad oggi, 45 sale hanno chiuso il sipario, senza riaprirlo più. L’ultimo caso eclatante è la chiusura dell’Alcazar di Trastevere dopo 28 anni di attività. L’Anec lancia un appello: “Chiediamo al prossimo sindaco di Roma di impegnarsi a semplificare e adeguare l’imposizione fiscale come Imu, Tasi, Tari e imposte sulla pubblicità, triplicate negli ultimi anni e particolarmente onerose viste le dimensioni dei cinema”.
I Cinema Aquila e Avorio al Pigneto sono stati riaperti per pochi giorni durante l’ultima Festa del Cinema di Roma ed ora sono ancora chiusi. Come il cinema Impero a Tor Pignattara. Sulla facciata alcune opere dello street artist Diavù ricordano i volti di Mario Monicelli, Pier Paolo Pasolini, Anna Magnani, Ugo Citti. Ma la struttura è chiusa e vuota da tanti anni. La Sala Troisi di Trastevere è stata chiusa per anni: ora sarà gestita dal gruppo che ha vinto il bando del Comune di Roma, l’associazione Piccolo Cinema America. Si tratta di una realtà costituita da ragazzi del quartiere, nata nel 2012, dall’occupazione del cinema America che era abbandonato e rischiava di essere demolito. Celebri attori e registi hanno sostenuto il progetto, così come gli abitanti della zona. Oggi la loro fan page vanta 50.000 iscritti ed è uno dei migliori e più incoraggianti esempi di cultura dal basso, nati a Roma negli ultimi anni.
Dall’11 maggio è fermo anche il Cineclub FilmStudio di Trastevere.
E un’altra multi sala chiuderà nelle prossime settimane, l’Uci Cinemas, dopo la chiusura della vicina Città del Gusto. Al suo posto sorgeranno diversi appartamenti residenziali. A poco sono servite le proteste dei residenti contro i costruttori Salini a cui hanno chiesto di non chiudere l’unico cinema in zona.
A pochi passi da Uci Cinemas c’è il Teatro India. Voluto dal regista Mario Martone doveva essere un luogo per la sperimentazione teatrale e le produzione culturale contemporanea. Oggi è affidato al Teatro di Roma, diretto da Antonio Calbi e ne ospita alcuni spettacoli del cartellone, ma è privo di una stagione vera e propria che ne garantisca l’apertura continuativa.
(La Festa del Cinema. Foto: red carpet del film “Lo chiamavano Jeeg Robot”)
GLI SPAZI ISTITUZIONALI: SEMPRE PIÙ LONTANI GLI ANNI “D’ORO”
Sembrano passati decenni dall’eventismo – come è stato definito da molti – delle ere Veltroni e Rutelli. È rimasto poco o nulla degli anni delle Notti Bianche, della nascita dell’Auditorium Parco della Musica o della Festa del Cinema, delle varie Case, dei Teatri di Cintura o dell’Estate Romana, inventata e voluta da Renato Nicolini. Così anche gli spazi più istituzionali sono in crisi e dalla giunta Alemanno, è iniziato un declino progressivo. La città si è spenta, gli eventi sono finiti, i festival devono affrontare molti problemi per andare avanti.
La Festa del Cinema ha visto un crollo nei finanziamenti: dai 9 milioni della prima edizione del 2006 ai 16 del 2008, per finire ai 4 milioni dell’ultima edizione del 2015. Il direttore artistico Antonio Monda presentando la Festa, denunciava: “Cancellare il concorso, giurie, cerimonia apertura e chiusura, annullare i premi, tranne quello del pubblico. La sala Santa Cecilia dell’Auditorium indisponibile e una sezione unica composta da 37 film: la metà di quelli del 2014”.
La Casa del Jazz, nata nel 2004: i 27mila spettatori totalizzati nel primo anno di attività erano diventati 45mila nel 2006. Il crollo è iniziato durante l’era Alemanno con i fondi tagliati e il forte calo del numero di biglietti venduti che nel 2015 sono stati 19.500. La Casa del Jazz è gestita dall’Azienda speciale PalaExpo, che si occupa in primis delle Scuderie del Quirinale e del Palazzo delle Esposizioni. Le risorse a disposizione sono diminuite del 30% e in 5 anni il numero di visitatori si è dimezzato.
Zètema è la società del Campidoglio che gestisce 29 musei e 138 siti archeologici. Al Fatto Quotidiano, Alessandro Garrisi, presidente regionale del Lazio dell’Associazione Nazionale Archeologi, denuncia: “Le sembra normale che la Soprintendenza capitolina chieda l’intervento di volontari per tenere aperti monumenti come la Villa di Massenzio, uno dei più belli del suburbio romano, perché Zètema non riesce a garantire l’apertura del sito? A fine 2014 la Soprintendenza Capitolina ha fatto un bando per cercare associazioni culturali che facessero attività gratuita nelle aree archeologiche da lei gestita. Se nel 2016 le meraviglie di Roma sono visitabili solo grazie all’utilizzo di volontari o grazie all’impiego del Servizio civile nazionale, allora c’è un problema di gestione, di mentalità”.
Dopo un restauro durato 327 giorni, la Piramide Cestia è stata chiusa perché non ci sono custodi. Così come è bloccato il bando per il restauro del Mausoleo di Augusto, nonostante vi sia uno sponsor: 6 milioni garantiti dalla Fondazione Telecom, annunciati dall’ex sindaco Ignazio Marino e dall’ex assessore Giovanna Marinelli lo scorso ottobre 2015.
Non sta meglio il Sistema Musei Civici: 21 musei cittadini i cui visitatori, dopo il forte aumento registrato tra il 2006 e il 2011 da 1.232.521 a 1.635.529, nel 2015 sono scesi a 1.450.118. E poi c’è il Macro, nato nell’era Veltroni, finito a un passo dal collasso nel 2014 e nel 2015 per le difficoltà dovute soprattutto alla perdita di un importante partner come Enel. Nel 2013 ha visto dimezzati i propri spettatori dal 2012, ma nel 2016 c’è stato un incoraggiante + 52%, anche grazie al successo del Festival della Fotografia.
Persino il gigante di viale de Coubertin registra un calo di finanziamenti: l’Auditorium Parco della Musica inaugurato nel 2002, in era veltroniana, nel 2005 riceveva 9,7 milioni di euro di finanziamento e nel 2014 – ultimo bilancio approvato – è sceso a 8.160.000,00 euro.
Su Internazionale, in un articolo che è divenuto virale sul web, lo scrittore Cristian Raimo denuncia: “Avete sostituito l’arte, la cultura, la vita con la sicurezza e la legalità. E la legalità in questa città sono le crostacerie, le hamburgherie, le lasagnerie, le tiramisuerie, i negozi di patatine olandesi, l’invasione di posti per sbocconcellare a trenta euro a persona che si chiamano “officine della nduja”, “smart trattoria”, “liquidi e solidi”, i diecimila locali in cui si fa un’apericena con gli alcolici del discount mescolati, un po’ di riso scotto e verdurine bruciacchiate e minisupplì appena decongelati”.
E come dargli torto.
Di Mauro Orrico
Con la collaborazione di Antonella Sciarra
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