Motta è decisamente la rivelazione del 2016. Il suo esordio discografico “La fine dei vent’anni” è molto bello e si è aggiudicato sia la Targa Tenco 2016 come Miglior album d’Esordio, sia il Premio Speciale Pimi 2016 del Mei. Motta è un polistrumentista prezioso che ha collaborato anche con Nada, Zen Circus, Pan del Diavolo e Giovanni Truppi. Nasce artisticamente nel 2006 con i Criminal Jokers e in questo percorso solista ha collaborato con Riccardo Sinigallia, produttore artistico dell’album. Lo abbiamo incontrato nel backstage in occasione del concerto al Monk di Roma, prima di un live strepitoso andato sold out, ma ha promesso che tornerà a suonare a Roma il prossimo 18 marzo.Intanto prosegue il tour nei club di tutta Italia.

Il tuo è stato considerato, uno dei dischi più belli usciti in questo 2016. Anche da me. Tu invece che dischi ascolti e quale ti è piaciuto di più di quest’anno?
A parte il mio? A parte il mio, l’album di Salmo, è il disco che ho ascoltato di più.

La cosa più bella che secondo te è stata detta sul tuo album?
La cosa più bella è quando vedo giornalisti un po’ impacciati nel volerlo per forza definire, allora è quello, no è quello. Quando vedo questa incapacità di definire l’album nel genere, ci provano in tutti i modi, che secondo me non è una cosa che per forza si deve fare. Quando vedo che non ci riescono, bene, mi fa piacere insomma.

In un’intervista hai dichiarato che quando è svanita la magia adolescenziale (dopo l’uscita di “Bestie” dei Criminal Jockers) ti sei sentito un po’ perso e hai capito che dovevi iniziare una fase dove fosse più importante guardarti dentro e non allo specchio. Mi chiedo: cosa hai visto dentro di te?
Io nelle interviste ho detto un sacco di cavolate. No, scherzo, confermo che quelle cose lì le ho dette. All’inizio ho avuto un po’ paura di mettere in pasto alle altre persone le cose che ho trovato, sono ancora alla ricerca di molte cose che invece non ho trovato e che ho voglia di trovare, però poi mi sono accorto che avevo voglia di metterle nelle canzoni. Cosa che non mi era mai successa.

Molti brani di questo disco sono canzoni d’amore, ma nel senso più ampio del termine. Ed è stato incredibile vedere come più scendevi nel personale, più entravi nel dettaglio delle tue emozioni e della tua storia e più le persone si sono identificate in quello che dicevi.
Penso che il miglior modo per raggiungere le persone sia non pensare a quale sia il modo per raggiungerle. Nel mio caso dovevo solo dire la verità. Non pensavo assolutamente se queste cose sarebbero arrivate o no. Forse quello è stato il trucco.

Riccardo Sinigallia ha prodotto e collaborato a questo disco. Come avete trovato la vostra sintonia, il vostro centro di gravità permanente?
Siamo due persone per cui la musica è stata ed è la cosa più importante della nostra vita. Quindi è molto probabile che due persone lavorino bene insieme quando alla base di questo c’è un incontro bello dal punto di vista umano. Quella è stata la prima cosa. Ci siamo trovati a livello di socialità e di interessi simili e questo ha portato a lavorare benissimo senza nessun tipo di conflitto che è abbastanza magica come cosa.

A proposito de “La fine dei vent’anni”, come ti vedi tra altri vent’anni? E ci sono progetti futuri?
Spero di fare un disco prima, insomma. Non è detto ma spero di sì, sto lavorando alle canzoni nuove. Comunque mi vedo più felice di adesso nonostante ora io sia felice. Spero di continuare questa ricerca e di avere sempre la libertà di fare come mi pare e di fare dischi che lascino aperte tantissime porte, sempre. E spero di cambiare idea il più possibile, perché cambiare idea è una delle cose che mi stimola di più. Spero di cambiare tante volte idea da qui a 40 anni.

Sappiamo che ti sei trasferito a Roma, so che questa domanda te l’hanno fatta talmente tante volte, però sono curiosa. Cosa ti piace e cosa non ti piace di Roma?
Tutto.

Lo so, fa questo effetto.

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