Nella giornata mondiale contro l’Aids, il punto sulla ricerca e l’importanza della prevenzione e della lotta contro le disuguaglianze, lo stigma e i pregiudizi.
Dal 1988 ricorre ogni anno, il 1° dicembre, la Giornata mondiale contro l’Aids. Nel mondo vi sono oggi circa 37,7 milioni di persone che vivono col virus (perché sieropositivi o malati) e 680.000 sono state le nuove diagnosi nel 2020. Oggi il tema più dirimente è quello delle disuguaglianze: se, infatti, in Europa e nei Paesi sviluppati le nuove infezioni sono in costante diminuzione e i positivi al virus hanno accesso alle nuove terapie, in Africa si registra il 60% dei nuovi casi e il 70% dei decessi. Ridurre le disuguaglianze è, dunque, essenziale se si vuole centrare uno degli obiettivi più ambiziosi dell’Agenda 2030: quello di porre fine all’Aids entro il 2030.
I dati in Italia. Nel nostro Paese, le persone che vivono con l’Hiv sono circa 130.000 e nel 2020 si sono registrate 1.303 nuove diagnosi. La fascia d’età più colpita è quella fra i 25 e i 29 anni e l’80% dei nuovi sieropositivi è di sesso maschile. La regione con il maggior numero di contagi nel 2020 è stata il Lazio (con 227 test positivi), mentre Calabria e Basilicata non hanno registrato nessun nuovo caso. I dati sono in costante calo ormai dal 2012, anche se le cifre dell’ultimo anno sono state condizionate dalla pandemia, che ha limitato l’accesso ai test. Dall’inizio dell’epidemia a oggi sono morti di Aids più di 46.000 nostri connazionali. (Fonte dati: Focus)
Nei Paesi occidentali, la cultura della prevenzione e i risultati dalla ricerca scientifica, con la scoperta di farmaci dotati di potente attività antivirale, hanno fortemente ridotto la diffusione dell’Hiv. Come è noto, non esiste ancora un vaccino, anche se gli studi e la sperimentazione proseguono, ma sono migliorate nettamente le cure.
Nel 1987 è stato introdotto il primo farmaco antiretrovirale, la zidovudina (Azt), a cui si sono aggiunti negli anni successivi altri farmaci con diversi meccanismi di azione.
Nel 1997 è stata introdotta una nuova categoria di farmaci antiretrovirali, gli inibitori della proteasi, capaci di ostacolare l’enzima virale necessario per la produzione del rivestimento esterno del virus.
Attualmente viene proposta alle persone sieropositive una terapia altamente efficace, detta Haart (Higly Active Anti-Retroviral Therapy), che consiste nella combinazione di vari farmaci antiretrovirali. Occorre tuttavia tenere presente che le attuali strategie terapeutiche, anche se molto efficaci, non consentono la guarigione dall’infezione, ma permettono di tenerla sotto controllo. Attraverso l’uso del trattamento antiretrovirale, oggi un soggetto Hiv positivo ha un’aspettativa di vita analoga a quella di un soggetto non infetto, con una buona qualità di vita.
Grazie alle cure, una persona con Hiv che segue regolarmente la terapia e ha una carica virale non rilevabile, non trasmette il virus. Rifiutare una persona sieropositiva, pertanto, non è uno strumento di prevenzione.
Ad oggi la prevenzione è l’arma più efficace contro il virus dell’Hiv e il preservativo è lo strumento fondamentale per vivere un rapporto sessuale protetto e sicuro.
La novità degli ultimi anni si chiama PREP – profilassi pre-esposizione, ovvero la somministrazione preventiva di farmaci ai soggetti più a rischio. Anche in Italia è possibile acquistare il medicinale in farmacia previa presentazione di ricetta fatta da un medico infettivologo. Questo metodo preventivo consiste in una somministrazione per via orale di una pasticca in grado di rendere “immuni” preventivamente all’Hiv. È importante specificare però che la Prep lavora come difesa solo contro l’Hiv mentre non immunizza da tutte le altre Mst (malattie sessualmente trasmissibili) come epatiti, hpv, clamidia, sifilide ed altre che vengono spesso trascurate e che sono in netto aumento. Il preservativo garantisce invece una protezione nel 99% dei casi verso tutte le Mst.
La difficoltà maggiore che le persone sieropositive, oggi, devono affrontare non è legata alla qualità della vita, bensì allo stigma culturale che ancora esiste in merito all’Hiv. Non stupisce che ci sia ancora chi crede che il virus si trasmetta attraverso il semplice bacio. Va chiarito innanzitutto che lo stile di vita dei sieropositivi non è meno dignitoso degli altri. Le persone che hanno contratto il virus dell’Hiv continuano a condurre una vita sociale come quella dei sieronegativi e si può continuare a vivere una vita affettiva e sessuale.
Inoltre, va precisato che non esistono categorie a rischio ma solo comportamenti atti a facilitare la diffusione del virus: sesso non protetto, scambio di siringhe con soggetti infetti, incidenti sul posto di lavoro (vale soprattutto per infermieri e medici che quotidianamente hanno contatti con aghi o bisturi). Gli omosessuali e i tossicodipendenti, che inizialmente erano considerate le uniche categorie esposte al rischio del contagio, rappresentano ormai una percentuale bassa delle persone infette in Italia.
La spada di Damocle da arginare rimane l’ignoranza e la disinformazione di molti cittadini, soprattutto i più giovani. Il virus non sottrae il diritto di continuare a condurre una vita sana, ma il pregiudizio e le discriminazioni sono molto più dolorose di ogni cura.