Il Ddl Varchi è ufficialmente legge: il Senato ha approvato in via definitiva la legge che rende in Italia la GPA un “reato universale”. Ma la norma è solo propaganda ideologica e inapplicabile: ecco perché.
Di Mauro Orrico
Lo scorso mercoledì 16 ottobre, il Senato ha approvato in via definitiva il contestatissimo Ddl Varchi, la legge che in Italia rende la GPA un “reato universale”. Il ddl è stato presentato dalla deputata di Fratelli d’Italia Carola Varchi ed è stato votato da tutto il centrodestra. Hanno votato contro tutti i partiti di centrosinistra. Le opposizioni e le associazioni, che martedì sono scese in piazza guidate dalle Famiglie Arcobaleno e dall’Associazione Luca Coscioni per la libertà scientifica, promettono battaglia nei tribunali e nelle piazze.
In Italia, la maternità surrogata è già reato e la nuova legge ora punta ad estendere la perseguibilità del reato anche a chi ne faccia ricorso all’estero. Il provvedimento, che modifica la legge 40 del 2004, prevede la reclusione da tre mesi a due anni e una multa da 600mila a un milione di euro “per chiunque realizzi, organizzi o pubblicizzi la commercializzazione di gameti, embrioni o la surrogazione di maternità”.
La norma, tuttavia, oltre ad essere l’ennesimo passo indietro per l’Italia sul tema dei diritti, è un testo giudicato da molti giuristi incostituzionale, ideologico e inapplicabile, perché in contrasto con la normativa europea che prevede un principio base del diritto penale: un reato è perseguibile solo se commesso in un Paese dove è considerato tale.
I tribunali bocceranno con ogni probabilità la norma nei ricorsi delle famiglie, ma sui bambini e sulle ragazze resterà lo stigma, il marchio di infamia di chi considera le loro vite un “reato universale”.
Le critiche alla norma
Il professor Gian Luigi Gatta, ordinario di Diritto penale all’università di Milano, ha sollevato diverse criticità in un’intervista a Domani. “È difficile pretendere che il cittadino italiano ovunque vada nel mondo a realizzare una pratica che un certo Paese ritiene lecita, risponda in Italia di un reato”. Gatta ha inoltre precisato che il concetto di “reato universale” non esiste nel linguaggio giuridico: “Nei manuali non si parla di reato universale. Esiste la giurisdizione universale che è una cosa diversa”. L’esperto ha poi evidenziato come questa proposta rappresenti “un uso simbolico del diritto penale utilizzato per veicolare all’elettorato messaggi forti rispetto a temi politicamente identitari”.
Gatta ha anche evidenziato le difficoltà pratiche: “per raccogliere gli elementi di prova, necessari per fondare una condanna, bisognerà avere la collaborazione di quello stato, fare delle rogatorie. È arduo che lo stato, sul piano della cooperazione giudiziaria internazionale, collabori con noi nel momento in cui in quel Paese la pratica è lecita”.
Inoltre, la norma non potrà essere applicata retroattivamente e questo potrebbe tuttavia portare a nuovi problemi, come la possibile commissione di reati di falso per evitare denunce.