Da 15 mesi, la Striscia di Gaza è il luogo più pericoloso della terra per i giornalisti: almeno 146 sono stati uccisi dall’inizio del conflitto. Gli ultimi 5 sono stati bruciati vivi il 26 dicembre.
Di Marta Foresi
Non solo la popolazione palestinese e quella libanese: vittima di Israele nello scontro armato con i suoi avversari è anche l’informazione. Da quando è iniziata la guerra nella Striscia di Gaza, non si era visto un numero così elevato di operatori dei media caduti in un conflitto bellico recente: si sa con certezza che sono stati uccisi 146 giornalisti, fotografi e cameramen. Gli ultimi 5 sono morti bruciati il 26 dicembre in un furgoncino, nonostante la scritta Press in grande evidenza. Il furgone era parcheggiato di fronte all’ospedale Al-Awda, nel campo profughi di Nuseirat al centro della Striscia.
Il Comitato per la protezione dei giornalisti (Cjp, ong con sede a New York) tiene un conto aggiornato di uccisioni e ferimenti di operatori dell’informazione. Il Comitato sta faticosamente indagando anche su altri 130 casi di morti, scomparse e ferimenti ancora da verificare. Ci sono poi gli arresti arbitrari, una cinquantina tra Gaza e la Cisgiordania, le denunce di torture, maltrattamenti e censure. E non solo Gaza: l’esercito israeliano, negli ultimi mesi, ha preso di mira l’informazione anche in Libano e in Cisgiordania.
La Federazione internazionale dei giornalisti (Ifj) e la Ong Reporter senza frontiere (Rsf) sono concordi nell’affermare che la Palestina è il luogo più letale al mondo per i giornalisti.
L’Ifj ha chiesto all’Unione Europea di intervenire. «Mentre Israele sostiene che le sue azioni servono a mantenere al sicuro il suo popolo – ha denunciato l’organismo dei sindacati dei media –, la storia dimostra che la censura e la negazione del diritto all’informazione non sono il percorso verso la pace o la sicurezza».
Foto copertina © Hosny Salah – Pixabay