Dalla crisi di governo alle sfide future del Paese e dell’Europa. La nostra intervista ad Andi Shehu, co-presidente di Volt Italia, la formazione italiana del partito paneuropeo e progressista nato nel 2017.

Volt Italia è la formazione italiana di Volt, il partito paneuropeo e progressista nato nel 2017 in seguito al referendum sulla Brexit e all’affermazione al primo turno delle presidenziali francesi del Front National di Marine Le Pen. Lo hanno fondato tre ragazzi: l’italiano Andrea Venzon, la francese Colombe Cahen-Salvador e il tedesco Damian Boeselager, che oggi rappresenta Volt al parlamento europeo. Al centro dell’agenda politica di Volt ci sono i cambiamenti climatici, le disuguaglianze economiche, le migrazioni, i conflitti internazionali e l’impatto della rivoluzione tecnologica. Il partito è l’unico che si presenta con lo stesso simbolo e programma in tutti i Paesi d’Europa. Andi Shehu è il Co-presidente di Volt Italia. Nato in Albania, si è trasferito ad Ancona all’età di 12 anni. È laureato in chimica e storia. In Volt ha contribuito a scrivere il programma europeo e ha fondato e coordinato i gruppi di Firenze e Toscana. Noi lo abbiamo incontrato alla vigilia del voto sulla fiducia al Senato che potrebbe sancire la fine del governo Conte.

Partiamo dalla stretta attualità. Vi definite un partito “progressista, ecologista ed europeista”. Come vi ponete rispetto al governo Conte e all’attuale crisi che si trascina ormai da settimane?
Questo governo ha evitato di affrontare problemi complessi e si è mosso quasi sempre senza coerenza né un piano comprensibile; allo stesso tempo, però, non ritengo sia stato il disastro descritto da alcuni viste le circostanze straordinarie che ha dovuto affrontare. Dunque la posizione di Volt rispetto al Conte II è neutra. I problemi che individuiamo sono forse più macroscopici: per cominciare, la politica delle crisi di governo a ogni piè sospinto rende impossibile portare avanti progetti di medio-lungo termine perché le energie sono focalizzate sulla sopravvivenza. Dunque siamo contro agli attacchi a prescindere, ma per un’opposizione vera e costruttiva. In secondo luogo, è urgente invertire il processo di svuotamento del Parlamento che i governi portano avanti da anni: i parlamentari sono sempre meno preparati e proattivi anche perché il loro ruolo è sempre più marginale rispetto a quello dell’esecutivo. Questo non è sano per la qualità e l’efficacia del dibattito democratico.

Andi Shehu

Perché c’è bisogno di un nuovo partito nella galassia della sinistra italiana?
Riteniamo che i partiti italiani abbiano delle idee vetuste e siano incapaci di offrire un’interpretazione dei nostri tempi adeguata. Noi facciamo parte di una struttura europea, il nostro sguardo è focalizzato sul medio-lungo periodo da un lato, e sull’arginare in maniera tempestiva la sofferenza generata dalla crisi. La recente ascesa di M5S e Lega ci ha insegnato che i cittadini non si sentono rappresentati. I sovranisti vedono questo come un’opportunità per far leva su paura e rabbia, noi la vediamo come un’opportunità per avviare un dialogo sul futuro e incentivare una maggiore partecipazione civica. Lavoriamo, infatti, basandoci sull’organizzazione di comunità, un metodo che ci permette di essere radicati sul territorio; abbiamo inoltre creato, e vogliamo espandere, strumenti che consentano ai membri di acquisire competenze. Questo per consentire una partecipazione più ampia ed efficace a prescindere dal background sociale, culturale o di studio.

Siete il primo partito presente in tutti i paesi dell’Unione con lo stesso simbolo e programma. Come rispondete agli euroscettici e perché è importante dirsi europeisti, oggi, per Volt?
Rispondiamo che hanno delle valide ragioni. L’Ue ha problemi che la rendono poco efficace, poco snella e, purtroppo, poco democratica. Una nostra battaglia è la riforma dell’Ue stessa. Vogliamo che il Parlamento europeo sia dotato di pieni poteri legislativi e che l’Ue si doti delle strutture necessarie per venire in aiuto ai cittadini. Un esempio è la creazione di ministeri per fronteggiare crisi come quella del Covid, del cambiamento climatico e per avere una voce nello scenario internazionale. Essere europei non significa accettare acriticamente quello che succede in Europa, ma comprendere che solo insieme potremo affrontare le sfide del futuro. Questioni come la difesa comune, le sfide migratorie, le regole fiscali, la crisi ambientale, i diritti fondamentali, e i grandi investimenti per restare protagonisti nell’innovazione. Paesi come l’Italia, ma anche la Germania, non avrebbero nessuna possibilità di sedersi con pari dignità con Cina e Usa per definire le regole del gioco per i prossimi decenni se non costituendosi come attore unico: l’Europa unita.

Lei è il primo presidente di un partito italiano a non essere nato in Italia. La sua storia parte dall’Albania per arrivare alle lauree in chimica e storia ad Ancona. Dalla sua esperienza personale e politica, integrazione e inclusione sono due processi ancora lontani nell’agenda politica italiana?
Ritengo che le politiche italiane su integrazione e inclusione – che pure nascono con le migliori intenzioni – siano del tutto inefficaci perché partono da una presunzione assimilazionista. L’assunto alla base è che se sei venuto in Italia, il tuo compito è di diventare italiano. Questo non funziona. Primo: l’integrazione non è un processo unidirezionale. Gli italiani immigrati in America l’hanno cambiata profondamente, ed essi stessi sono cambiati, pur mantenendo radici e legami con l’Italia. Questo concetto di incontro di culture sembra essere del tutto assente dalla discussione in Italia anche se il mutuo arricchimento avviene de facto. Ciò riduce il dibattito a mere considerazioni economiche: gli immigrati come forza lavoro, come inferiore utilizzo del sistema sanitario, etc. Secondo: ho sentito maestre e maestri, mossi dalle migliori intenzioni, dire a proposito dei propri allievi non nati in Italia, frasi del tipo: “li renderemo italiani”. No no no e ancora no. Nessuno viene reso italiano, perché essere italiani non è un concetto statico e immutabile. Si è italiani in milioni di modi, circa 60 milioni oserei dire.

Sulla cittadinanza, la nostra normativa è tra le più arretrate d’Europa. Perché non si riesce a fare una buona legge sullo Ius Soli?
In effetti, perché no? Sento che l’opposizione più grande, anche a sinistra, è quella che alcune persone ne potrebbero approfittare. Questo è un argomento sinceramente risibile. Guardiamo ai Paesi che hanno adottato da decenni lo Ius Soli: il turismo di cittadinanza è così minuscolo da essere del tutto trascurabile. Ma anche se dei numeri infinitesimali dovessero spaventarci, basterebbe fare la legge con un criterio minimo sulla residenza di uno dei genitori, il cosiddetto Ius Soli temperato. Detto questo, personalmente sono a favore dello Ius Soli senza temperamenti di sorta. Eviteremmo complicazioni burocratiche inutili e faremmo sentire i futuri italiani benvenuti fin dai loro primi passi in questo Paese: il beneficio che questo genera non può essere ignorato da una politica lungimirante.

Andi Shehu. Foto © Facebook

Qual è la posizione di Volt Italia sui fatti americani? La sconfitta di Trump può davvero segnare una svolta?
La sconfitta di Trump segna un cambio importante nella politica nordatlantica. Innanzitutto, il conflitto interno al partito repubblicano potrebbe far emergere una nuova destra più adatta ai tempi. In secondo luogo, Trump è stata una figura di riferimento per il sovranismo internazionale, da Salvini a Orban passando per Le Pen e Meloni. L’indebolimento della sua figura potrebbe indebolire anche i sovranismi nostrani, rendendo più difficile portare avanti politiche reazionarie. Terzo, un presidente più multilateralista, come Biden, con un governo dotato di buona conoscenza dell’Europa, renderà più facile collaborare sui temi complicati: dal cambiamento climatico alla postura da tenere nei riguardi della Cina. Questo non significa che andremo d’amore e d’accordo, tuttavia, è innegabile che parlare con un partner disposto ad ascoltare sia meglio che parlare a un narcisista che per puro caso è finito a guidare il nostro alleato più importante.

I social sono il nuovo terreno di scontro della politica mondiale. Twitter ha bloccato ad esempio il profilo di Trump, ma anche quello del quotidiano italiano “Libero”. È un limite alla libertà di espressione o un diritto legittimo di aziende private che rifiutano la logica della politica fondata sull’odio e le fake news?
La regolamentazione dei social è un problema gigantesco e complesso che la politica ha nicchiato per troppo tempo. Gli ultimi avvenimenti hanno però dimostrato che non è più rimandabile. Nessuno ha proibito a Trump di esprimersi, la presenza sui social viene confusa con la libertà di espressione. Inoltre, Trump non è stato rimosso arbitrariamente, ma perché ha violato ripetutamente per anni regolamenti che, come tutti noi, ha sottoscritto. È uno sviluppo positivo che le regole si applichino senza dispense speciali per politici potenti. Bisogna considerare che se l’insurrezione armata convocata da Trump avesse portato a centinaia di morti avremmo dato la colpa ai social. Essendone questi consci hanno dovuto prendere una decisione difficile che evitasse a Trump di organizzarne un’altra. Ma il punto importante è che Trump, il sovranismo e lo strapotere dei social, sono collegati. Queste società private sono state una delle leve principali della popolarità di politici come Trump, grazie all’assenza di regolamentazione e trasparenza (ad es. sui finanziamenti). Questo dimostra l’eccessivo potere concentrato nelle mani di pochi individui privi di mandato democratico. Ecco perché la riforma non è più rimandabile, dai provvedimenti antitrust, a quelli sulla libertà di parola a quelli sulla privacy: tutto deve essere discusso e deciso.

Da pochi giorni, il Regno Unito non è più membro dell’Unione. Cosa rappresenta questa uscita?
La Brexit è una grande sconfitta per l’Europa, ma ancor di più per il Regno Unito, che sta scoprendo proprio in questi giorni le complessità che ne derivano. Ci sono però tre aspetti a cui occorre fare attenzione per il futuro: primo, la Brexit rappresenta anche un’opportunità perché molti dossier erano bloccati da un Regno Unito che vede l’Ue solo come un mercato e non come un progetto politico. L’approvazione di NextGenerationEU, ad esempio, sarebbe stata molto più difficile col Regno Unito ancora dentro. Secondo, non abbiamo finito di parlare di Brexit. Non solo perché ogni cinque anni va rinegoziato l’accordo (anche se è tutto delegato alla Commissione e i Paesi europei non dovranno fare nulla), ma anche perché le implicazioni per l’Ue, ad esempio in ambito finanziario, si potranno vedere solo col tempo. Terzo, il Regno Unito rischia di entrare in una fase centrifuga e un’eventuale uscita di Scozia o Irlanda del Nord sarebbe un problema diplomatico delicato che potrebbe facilmente sfuggire di mano. Per questo, l’Ue deve già da oggi comportarsi come partner affidabile e non deve in alcun modo auspicare o incoraggiare instabilità nel nostro vicino e alleato.

Nell’agenda politica di Volt quali sono le priorità?
Volt ha come priorità un rilancio economico equo e sostenibile che sia inquadrato in una più ampia riforma dell’architettura istituzionale europea. Farò solo due esempi per dare concretezza al metodo di lavoro di Volt: non crediamo che ci sia una singola riforma che risolverà ogni problema, crediamo che i problemi vadano affrontati nella loro complessità. Esempio 1, salute e benessere: occorre potenziare la sanità pubblica con particolare attenzione alle cure territoriali e di comunità; innovare e digitalizzare il sistema; riformare il percorso di formazione post laurea; creare una rete territoriale tra ospedali universitari e non; passare la competenza formativa post laurea dal MUR al Ministero della salute; revisionare le competenze Stato-Regioni e riunificare il SSN; incentivare l’alfabetizzazione sanitaria e investire sulla prevenzione. Esempio 2, sostenibilità come strumento per generare benessere e posti di lavoro: occorre fare investimenti green a tutto tondo (energia, immobili, trasporti, scuole etc.); educare alla sostenibilità; burocrazia green (ad esempio, semplificare l’approvazione di determinati progetti sulla transizione energetica); creare un piano di riduzione emissioni e disinvestire in fonti non rinnovabili; gestire il territorio con focus su adattamento del territorio a nuova situazione climatica. In conclusione, affrontare un tema non esclude affrontarne altri allo stesso tempo, ma occorre farlo impegnandosi a comprendere i problemi e affrontandoli con un ventaglio di riforme coerenti.

Sul tema dei diritti umani, l’Europa fatica a parlare con una voce unica. Penso alla svolta ultraconservatrice di Ungheria e Polonia sui diritti delle donne e delle persone lgbt. Qual è la posizione di Volt?
Premessa: per quanto l’Europa si muova un po’ sgangheratamente, è utile riconoscere che l’impegno profuso sui diritti umani ha pochi precedenti storici. C’è sicuramente tanto da migliorare ma la base del ragionamento per me deve essere questa: non si abbandonano i cittadini dei Paesi che mettono a rischio i diritti, perché i cittadini non devono pagare al posto dei loro rappresentanti. Occorre dunque fare leva direttamente sui responsabili. Per esempio, è stato dimostrato che la famiglia di Orban e i suoi collaboratori si siano arricchiti personalmente. Questo è ciò che bisogna colpire, con forza e senza mollare la presa. In più, i meccanismi di monitoraggio e sanzione devono essere resi indipendenti e soprattutto con effetto immediato. C’è molto da fare e la copertura politica offerta a Orbán dal Partito Popolare Europeo (il partito della Merkel e di Berlusconi) non aiuta. Occorre far emergere l’incongruenza tra dichiarare lotta al sovranismo nel proprio Paese e sostenerlo nel Paese accanto.

No vax, negazionisti del covid e sovranisti. Sembra che un forte vento di destra soffi sull’Europa e sull’Italia. Come arginarlo?
La domanda per me non è come arginare negazionisti, sovranisti e altri estremismi di destra, ma come rinforzare la democrazia. Spesso la sinistra italiana ragiona in termini di come fermare Berlusconi e/o Salvini e questo li porta a dei vicoli ciechi. Innanzitutto, occorre capire qual è l’effetto che il sovranismo ha sulla democrazia. Esso svaluta il ruolo della verità e autorizza il razzismo; trasformano le democrazie liberali in democrature, incluso la rimozione dei sistemi per difendere le minoranze; rendono la costruzione di governi più difficile sia che si decida di includerli (Conte I) che di escluderli (Conte II). Nel primo caso, governare con loro può portare a rafforzare i trend di cui sopra, nel secondo si creano governi di compromesso incapaci di portare avanti programmi coerenti. Creare una democrazia forte vuol dire lavorare per ridurre le diseguaglianze, rafforzare le istituzioni rendendole più democratiche (incluse quelle europee), considerare l’informazione come un bene pubblico fondamentale che deve essere supportato e regolamentato, investire in settori strategici come lavoro, istruzione e sanità. Si deve ripartire con pazienza a riparare la divisioni causate da politiche scellerate incentrate su ritorni di breve termine e focalizzare i nostri sforzi su come generare il maggior benessere collettivo possibile. Sarà lunga, ma Volt è qui per affrontare questo lungo percorso.  

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Di Mauro Orrico
Salentino di origine, romano di adozione, è laureato in Scienze Politiche (La Sapienza) con Master in Tutela Internazionale dei Diritti Umani. Ha lavorato per Rai3 e La7d. Da 14 anni è anche organizzatore di eventi di musica elettronica e cultura indipendente. Nel 2014 ha fondato FACE Magazine.it di cui è direttore editoriale..