Quando si parla di “Gay Village” viene automatico pensare ad una formazione urbana figlia dei movimenti di lotta per l’acquisizione dei diritti civili LGBT nella seconda metà del ventesimo secolo negli Stati Uniti. Basta consultare un qualsiasi testo o sito che accenni alla storia della nascita del movimento gay per veder tracciare una genealogia il cui momento radiante è il caldo giugno del 1969. Più precisamente il 22 giugno del 1969. Muore Judith Garland, L’interprete del Mago Di Oz, simbolo dell’America gay. Il 28 giugno, un bar di Christopher Street di New York viene assaltato per l’ennesima volta dalla polizia locale per abusare della la popolazione lesbica, gay e transgender che lo abita quotidianamente. Tale umanità invisibile si ribella e iniziano, con un tacco a spillo tirato dalla transessuale Sylvia Rivera, quegli scontri che sarebbero ricordati nella storia come gli “Stonwall Riots”, dal nome del bar. La data del 28 giugno diventa il giorno del Gay Pride.
In un documentario emozionale e significativo intitolato “Sylvia rimembri ancora” scorre una lunga intervista dell’attivista in occasione della sua presenza al World Pride avvenuto a Roma nel giugno 2000. Al suo interno Sylvia entra nel cuore di una denuncia durissima dell’assimilazione omonormativizzante occidentale, ricordando come nacque il movimento gay.
Sylvia Rivera (in foto, a destra) purtroppo muore nel 2002, lasciando al mondo non solo Il racconto di un passaggio fondamentale per la storia dei diritti e della dignità umana quanto anche la storia rappresentazione iconica del movimento LGBT, ovvero la “Rainbow Flag”.
L’apparizione della Rainbow Flag indica sostanzialmente che lo spazio urbano, pubblico o privato è un “safe space” quindi uno spazio gestito dalla comunità gay o, comunque “Gay Friendly” dove non vi è pericolo di violenza omofoba. La capacità di lettura dei significati di questo arcobaleno sul piano di ciò che i geografi David Bell e Jon Binnie definiscono come “cittadinanza sessuale”, diventa una vera e propria perimetrazione iconica dei “Gay Village” di tutto il mondo. Se però si va ad indagare più a fondo nella nascita dei movimenti gay e nelle loro spazializzazioni urbane, si scopre che ci sono differenti genealogie negli Stati Uniti. Esempi ne sono la nascita del movimento gay a San Francisco e la storia del primo politico americano apertamente gay Harvey Milk, ben testimoniata dall’omonimo film “Milk” di Gus Van Sant specialmente nell’apparato fotografico che mostra la nascita del “Castro District”. Un’altra storia parte dalla vicenda dell’attivista gay e critico cinematografico Vito Russo e il suo rapporto con New York narrata dal documentario “Vito”, in cui il regista Jeffrey Schwarz fa emergere la nascita del movimento attraverso un suicidio di un gay newyorkese rivelatosi successivamente un omicidio ad opera della polizia. Tali sottotracce portano all’idea, più che di una sorgente storica lineare, di uno zeitgeist ovvero di un momento storico fertile per l’insorgere di questi movimenti. Se però si varcano i confini Statunitensi e si fa ricerca in Europa, si scopre che tutto ciò è già avvenuto ben settanta anni prima in Germania, a Berlino.
Seguendo il saggio intitolato “The indestructable homosexuality in Berlin. Homosexuals since 1896 – public culture, prosecution, remembrance and revival” dello storico olandese Joep de Visser all’interno del suo blog di ricerca storica su Berlino ”Historical tales about the capital of the 20th century” (De Visser: 2012) è autoevidente un incredibile salto nel tempo nella storia della formazione dei “Gay Village”. De Visser apre il suo saggio affermando che quasi quarant’anni prima dell’avvento del Nazismo in Germania, Berlino era un magnete per omosessuali. Grosse ed importanti iniziative di carattere politico, sociale e culturale venivano gestite da gruppi di pressione per i diritti omosessuali agli inizi del 1900 durante la repubblica di Weimar. Ciò spinse persone omosessuali e transgender a spostarsi nella capitale, non solo da tutta la Germania ma da tutto il mondo. Berlino era diventata un incredibile polo culturale e festoso con un certo “Genießen und Feiern” ovvero un modo di godere la vita tra feste, cocaina, libera sessualità, femminismo, arti e letterature rintracciabili solo ed esclusivamente in quello spazio, in quel tempo e, sopratutto in quella zona che si sviluppava tra Nollendorf Platz e Wittemberg Platz all’interno del quartiere di Schöneberg. Scavando più a fondo e partendo dalla fine del XIX secolo vediamo come un anarchico, tale Adolf Brand, fondò “Der Eigene” nel 1896, il primo mensile gay d’Europa. Il titolo si riferiva a “Der Einige und sein Eigentum” dell’anarchico Max Stirner. Brand, con un background politico chiaramente anarchico, fu parte del primo movimento omosessuale “Wissenschaftlich-humanitäres Komitee” insieme a Magnus Hirschfeld. I due si batterono senza tregua contro l’articolo 175 del Codice Penale Tedesco che rendeva l’omosessualità illegale. A causa di visioni politiche divergenti, Brand e Hirschfeld si separarono ed il secondo fondò il famosissimo “Institut für Sexualwissenschaft” ovvero l’Istituto per la scienza della sessualità nel 1913 la cui sede si trovava a Tiergarten, famoso parco di Schöneberg.
Molteplici fonti di questo momento storico sono rintracciabili allo Schwules Museum di Berlino e alla Berlinische Galerie che, per la prima volta nella storia della fotografia, installò nel 2010 una mostra dedicata a Marianne Breslauer; una tra le capostipiti del un nuovo femminismo tedesco che si sviluppò mondialmente.
La linea di confine di tutte queste esperienze è la tragica ascesa del Nazismo in Germania che, attraverso le deportazioni, le castrazioni e le uccisioni di centinaia di migliaia di gay e lesbiche, spazzerà al suolo per un ventennio il ruolo d’avanguardia che Berlino avrebbe avuto per fondare un’ Europa emancipata ma Schöneberg, come quartiere ospitante il “Gay Village” riprende vita subito dopo la fine della seconda guerra mondiale rientrando appunto nella nuova genealogia data dai vincitori. Non a caso oltre ad essere sede del “Gay Village”, Schöneberg viene scelta dal “Settore Americano” durante tutto il periodo della guerra fredda. Nonostante la sua caratterizzazione storica, il quartiere diventa parte integrante dei processi di cristallizzazione omonormativa, rendendo Berlino uno dei prototipi più avanzati delle metropoli transnazionali a tal punto da essere definita dal suo sindaco gay Klaus Wowereit in una intervista del 2006 con la rivista “Focus”, “Arm aber Sexy” (Povera ma sexy). Tale definizione, diventata internazionalmente famosa, ha prodotto un vero e proprio brand di Berlino strategicamente adoperato come “copy” per costruire quel life-style generale di una città funzionalmente alla sua vendita. I risultati sono molto chiari nella storia degli ultimi dieci anni. In primis vi è un’impennata violenta del mercato immobiliare con stravolgimenti dei quartieri del centro-est della città quali Mitte e Prenzlauerberg. Il secondo epifenomeno di aggressione neoliberalista è Il “Mediaspree” ovvero la gentrificazione delle rive dello Spree nella zona di confine tra Friedrichshain e Kreuzberg nell’area dell’Oberbaumbrücke. Altro grosso esempio è la vendita vera e propria del terreno al di sopra del quale risiede la “East Side Gallery” ovvero l’ultima parte del muro di Berlino lasciata come monumento storico ed ora frutto di un grosso conflitto sociale. Ultimo ma non meno importante è il progetto di vendita di alcuni settori dell’ aereoporto “Tempelhof”, per la loro conversione da parco pubblico a terreno edificabile per appartamenti di lusso. In questo quadro i quartieri storici dell’ovest berlinese tra cui lo stesso Schöneberg, attraversano un processo di desertificazione. La cittadinanza omosessuale vive la sedimentazione omonormativa del “Gay Village” come archeologizzazione di un life-style che non ha più presa sul consumo contemporaneo delle metropoli. I nuovi flussi migratori che invadono Berlino sono proprio quelli della “classe creativa”. Si tratta di persone con un range d’età tra i venti ed i quarant’anni; soggetti che non migrano più per motivi di carattere economico-politico legati a regimi autoritari o ad economie in crisi, quanto spinti da tematiche socio-culturali specifiche.
Il concetto stesso di migrazione è transnazionale ovvero non più lineare ma molteplice e consistente. Molti dei nuovi migranti si muovono in una concezione di metropoli-mondo, risiedendo, producendo e consumando contemporaneamente in città differenti attraverso un’idea performativa delle identità situazionali che compongono l’attore contemporaneo. Il nuovo appeal metropolitano non risiede più nell’indossare l’identità lesbica o gay all’interno di un “Gay Village” quanto quello di costruirsi una propria individualità queer esplorando la metropoli e decontestualizzandosi. La cittadinanza sessuale contemporanea è quella del Flaneur di Benjamin per il quale il cruising non solo è inteso come atto sessuale nelle zone d’ombra della città quanto atto di seduzione-produzione della metropoli attraverso il suo consumo.
(Foto: Zettberlin / photocase.com)
(street art a Kreuzberg)
Contro ed oltre il modello omonormativo del “Gay Village”, appare oggi una Berlino a venire tra Schöneberg e Kreuzberg, tra gentrificazione e rivendicazione di nuovi diritti, tra scontro e dialogo, tra amore e odio, tra party e militanza, tra produzione e consumo di nuova urbanità che fa della sua irrisoluzione un’idea potenziale di politiche territoriali. Focale nella narrazione è la crisi del CSD di Berlino (Il Pride LGBT di Berlino si chiama CSD ovvero Christopher Street Day, in relazione alla strada del Greenwich Village dove risiedeva lo Stonewall Inn) e lo scontro che ha dato vita al “Transgenialer” detto anche TCSD dove per la prima volta le sue fondatrici e fondatori ne raccontano la storia.
Due sono i motivi più pragmatici che vedono la nascita del “Transgenialer”. Il primo risiede nello scontro politico prodotto dalla richiesta da parte dell’organizzazione di una quota di partecipazione per i carri, eliminando così i carri più “poveri” e indipendenti che rifiutano le sponsorizzazione per la copertura delle loro spese. Ciò inasprisce il conflitto tra l’ala più indipendente e libertaria dell’organizzazione e quella assimilazionista, creando conseguentemente il secondo motivo. Nel 1997 alcuni dissidenti dell’organizzazione del CSD decidono di auto-organizzare il “rattenwage”, ovvero il carro dei ratti. Gli organizzatori prendono spunto da una dichiarazione fatta dal Commissario di Polizia il quale, citando il nazista Göring in relazione agli spazi occupati della città di Berlino, afferma che li dove c’è immondizia ci sono ratti, per questo motivo la città va sanata. Gli organizzatori del carro posizionano una piscina di fango al suo interno per produrre materiale da tirare sui partecipanti. L’organizzazione del CSD manda il servizio d’ordine e la polizia isolando il carro e producendo uno scontro che fa ripiegare il mezzo e i suoi seguaci verso il famosissimo club punk di Kreuzberg “SO36”. Da quel momento in poi nasce il TCSD come Pride antifascista, queer-femminista, antirazzista e solidale.
(foto: transgenialercsd.wordpress.com )
La manifestazione-evento prende piede a Kreuzberg e si sviluppa nel corso degli anni duemila avvenendo il 28 Giugno – ovvero lo stesso giorno del CSD – e diventando un laboratorio di nuove politiche dei corpi per nuove identità e nuovi diritti. Il secondo momento importante che incrina il CSD si lega al rifiuto del “Zivil Preis” da parte di Judith Butler. Il “Premio Al Coraggio civile” è un riconoscimento annuale conferito dall’organizzazione del Pride ad una figura che emancipa la battaglia per i Diritti civili della comunità LGBT mondiale. Nel 2010 il premio viene assegnato alla filosofa Judith Butler che lo rifiuta pubblicamente affermando con un discorso durissimo che l’organizzazione del CSD è di stampo omonazionalista, dedicandolo per questo alle organizzazioni LGBT e Queer che lavorano per i diritti umani dei migranti, facenti parte dell’organizzazione del “Transgenialer”.
(Foto: Sophie Stolzenburg / photocase.com)
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GEOGRAFIE QUEER DELLA BERLINO FUTURA
Kreuzberg è stato uno dei quartieri-culla storici delle controculture. In questo senso i gruppi di critica all’assimilazionismo LGBT e alla strutturazione omonormativa del “Gay Village” di Schöneberg riescono a creare una nuova genealogia controculturale queer che trova difesa e radici nello spazio urbano occupato da tali movimenti. Tanti sono i bar e i club “eccentrici” di Kreuzberg aperti negli anni ’80 e i party sviluppati negli anni novanta: dal “Roses” allo stesso “SO36” passando per il “Sofia”, il “Möbel Olfe”, Il ”Barbie Deinhoff” e recentemente il “Südblock”. Ma il fattore più importante è come detto, che Kreuzberg storicamente nasce come quartiere-dormitorio per Gaestarbaiter turchi quindi è un quartiere che ha una matrice etnica fortissima che si rispecchia nelle attività e negli attivismi di questi posti. Essi sono sensibili non solo ad una critica di carattere sociale, culturale e politico rispetto all’archeologia LGBT di Schöneberg e agli interessi transnazionali che ci orbitano intorno, quanto autocritici rispetto al territorio sul quale risiedono e al ruolo che essi stessi rivestono sul piano della gentrificazione queer. Su tale panorama si apre un nuovo processo che scende verso il sud di Berlino aprendo a quella zona di Neukölln detta “Kreuzkölln”. Tale vettore ha alcune caratteristiche simili rispetto al modello dei quattro stage di costituzione del “Gay Village” di Alan Collins ovvero una zona povera, un parco quale quello di Haseneide dove risiede prostituzione, cruising e spaccio, due locali gay storici come il “Fiken 3000” ed il “Triebwerk” su Urban Strasse, la nuova apertura di bar queer come il “Silver Future”, il “Tristeza” e la gentrificazione di Weser Strasse, l’apertura pioneristica del bar lesbico “Salon Tippel” nella profonda Sonnen Allee, fino allo spostamento di un grosso istituto della cultura LGBT e queer Berlinese e tedesca nel pieno cuore di Neukölln. Il club “SchwuZ” lascia la location storica di Meringdamm – l’area “61” di Kreuzberg – e riapre a Rollberger Strasse.
Ci sono delle variazioni che stridono rispetto ad una nuova “sexual citizenship” composta da nuovi migranti che non ragionano, non scelgono e non consumano più la metropoli rispetto agli standard identitari dei “Gay Village” ma che attraversano sul piano “individuale” e queer queste nuove zone. Ciò produce delle nuove variazioni sulla costruzione di “enti ibridi” sul territorio che come afferma David Brown occupano una posizione ambivalente basata sulla porosità, sulla complicità e sulla complementarietà. Si delinea culturalmente e socialmente un nuovo life-style definito “hipster” sia da parte del territorio che dai mercati immobiliari e delle imprese multinazionali che ruotano intorno a questi nuovi flussi. Capire la trasformazione di tale spazio urbano nello scollamento e, contemporaneamente, nella complicità con la precedente concettualizzazione dei “Gay village” potrà aiutare a determinare un nuovo modello per comprendere quali mosse si giocheranno sulla scacchiera del mercato mondiale e quali formazioni prenderanno le metropoli future.
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(Gennaio 2014)
Di Francesco Macarone Palmieri aka WARBEAR
Nato nel 1970, vive tra Roma e Berlino. E’ antropologo, ricercatore, performance artist e curatore. Il suo primo libro è intitolato “Free Party. Techno anomia per delinquenza giovanile”, Meltemi editore. Ha pubblicato libri, ricerche e saggi.
Attualmente lavora come curatore, performer e dj.
E’ co-producer e resident dj dell’evento berlinese Gegen.
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