La nostra intervista alla scrittrice Donata Carelli, autrice del romanzo “Io Madre Mai”, edito da Piemme. Un manifesto contro le convenzioni sociali sulla maternità.

Di Pier Luigi Saggese

“Ma chi decide quale sia il traguardo di una donna felice?”. Da questo interrogativo nasce il romanzo di Donata Carelli, insegnante e sceneggiatrice che nella sua opera – “Io Madre Mai”, edita da Piemme – affronta un tema con cui ogni donna si trova a fare i conti nella propria vita: la maternità. Ancora oggi, infatti, diventare madre è visto come uno step obbligatorio o quasi, un giro di boa inevitabile per mentalità e coscienza civile.
Ne consegue che ogni donna debba prima o poi fare i conti con il diventare madre e talvolta – ancor più complicato, perché si disobbedisce al sentire comune – con la consapevolezza di non volere figli. In queste pagine autobiografiche, Donata Carelli rifiuta con fermezza l’assioma donna = madre, fino a veder ribaltate le proprie certezze.

Quand’è che hai avvertito il rifiuto della maternità?
Più che parlare di un rifiuto, direi che sin da bambina ho avvertito la megalitica responsabilità del mettere al mondo un figlio. A volte le persone vedono in chi non mette al mondo un figlio il rifiuto della responsabilità dettato da egoismo o da una leggerezza colpevole. Dovremmo invece imparare a considerare la questione da un altro punto di vista, quello di una iper-percezione del senso di responsabilità, di un rispetto assoluto e totalizzante per una nuova vita talmente sentito, radicato da non riuscire a liberarsi dal timore di sbagliare ‘sulla pelle’ di un altro.

Celeste per i maschi, rosa per le femmine. I lego per i maschi, i passeggini e i biberon per le femmine. Da quando siamo piccoli la nostra esistenza sembra “categorizzata”.
La protagonista da bambina non si riconosce nelle bambine “carrozzinate” e “borsettate” e già qui, dai giochi non condivisi, iniziano le prime difficoltà. Celeste, rosa, costruzioni, bambole e carrozzine, sono semplici convenzioni, e ogni convenzione è una semplificazione, un taglio lineare che non dà merito alle nostre peculiarità. In “Io madre mai” si parla del tentativo di essere semplicemente se stessi, senza barattare con altri la propria felicità.

Ancora oggi le prime a giudicare le donne che non sono madri, sono altre donne. Perché?
Un circolo vizioso tutt’altro che virtuoso, direi. Dal momento che sono le donne a portare su di sé lo stigma della maternità ad ogni costo, anche le domande pressanti come un nodo sociale che si stringe – “Un ragazzo non ce l’hai?”, “E un figlio quando lo fai”? – vengono da donne verso altre donne.
Una donna che si relaziona con un’altra donna attraverso quesiti simili è palesemente una donna che sta cercando di maturare sull’altra un qualche vantaggio “certificabile” per colmare una frustrazione profonda rispetto alla quale un figlio è “un’arma di distrazione di massa”.
L’ultimo capitolo del romanzo, dal titolo “Dico a te”, si rivolge proprio a tutte quelle donne che si sono sentite più volte apostrofate da altre donne come mancasse loro ‘un pezzo’ e suggerisce una exit strategy. “Dico a te” è una dedica ad ognuna, credo che ogni donna vi si possa riconoscere. Abbracciando tutte loro, abbraccio anche la ragazza che sono stata.

Nel libro racconti la tua normale predisposizione all’educazione, che poi si è trasformata anche nel tuo lavoro. Cosa ti faceva dire “Io madre mai?”
L’uomo e la donna hanno una natura animale, quando hai paura di qualcosa che non riconosci ti ritrai o sfoderi i denti. Quanti “mai” che vengono pronunciati ogni giorno derivano da un timore che non si vuole affrontare?
I “mai” pronunciati dalla protagonista sono tanti e tutti motivati ma, in realtà, non radicati. Sono picchetti che appaiono piantati nella roccia e che invece la vita, come un torrente in piena, fa cadere uno dopo l’altro. C’è la paura di diventare adulta, la paura di entrare in una classe e insegnare, la paura di un rapporto stabile, il terrore di avere un figlio. Il problema non è come superare la paura ma capire in primis perché una ragazza comune, come mille altre, sia tormentata da una serie di timori ragionati. In “Io madre mai” riavvolgendo il filo, si cerca di interpretare cosa si muove dentro la coscienza di tante giovani di oggi. Il libro sta ricevendo una accoglienza incredibile e inaspettata dalle ventenni e trentenni. Segno che c’è qualcosa da capire in questa incapacità di darsi una ‘forma definitiva’.

Rendere di difficile applicazione la legge sull’interruzione volontaria di gravidanza, leggere di decine di vittime di femminicidi sono solo due macro-esempi che ci ricordano come – da sempre – sul corpo delle donne si combattono battaglie feroci. Perché è così difficile invertire la tendenza?
Perché purtroppo siamo ancora lontani dal capire un assunto semplicissimo: la donna nasce completa così com’è. Esattamente come l’uomo. Nessuno tuttavia insiste tanto col dire che un uomo si completa nella paternità. Anzi, aggiungo che se un uomo si mostrasse disinteressato alla progressione della carriera per essere semplicemente padre questo ne farebbe una figura di difficilissimo ‘incasellamento’. Al contrario, non passa un attimo che qualcuno, uomo o donna che sia, anche nel panorama politico pontifichi sulla donna che si realizza, si completa nel divenire madre. Sfuggire al nodo della società che si stringe non è da tutte. Quante madri ‘nolenti’ ci sono in giro? Quante donne che non avrebbero voluto un figlio lo fanno per tacitare la famiglia, per compiacere un compagno o salvare un matrimonio? Ci fosse meno pressione, avremmo meno madri ‘nolenti’ e dolenti e tutto ciò che ne consegue e che la cronaca ci dispensa ad ogni notiziario.

Da insegnante ti sei trovata ad affrontare il tema della maternità con le tue studentesse? È cambiato qualcosa negli anni?
Quel che è cambiato oggi e di cui, fortunatamente, si discute molto è la autodeterminazione della donna e della sua felicità. Oggi le classi sono popolate da ragazze più consapevoli e più determinate: una ragazza non accetta che il fidanzato di turno le chieda di non uscire con le amiche o di non vestirsi in un determinato modo in assenza di lui. E qualora a una di loro possa apparire normale sottostare a determinate richieste, è facile che si alzi il coro delle compagne. Il Paese evolve ma attenzione: le spinte di ‘ritorno al passato’ ancora sono esternate in vari contesti come fossero il naturale richiamo a ‘valori tradizionali’ dimenticati.

Cosa ne pensi del dibattito sull’educazione all’affettività nelle scuole?
L’educazione all’affettività e alla autodeterminazione della felicità sono oggi sempre più importanti.
Da insegnante, non credo sia così necessario avere delle ore mirate per l’educazione all’affettività. Deve essere un valore fondativo, parte dell’educazione alla cittadinanza, un approccio sistemico a tutte le discipline, nessuna esclusa. La parità dovrebbe essere insita nel concetto stesso di formazione a 360 gradi.

L’uomo, per tua esperienza, come approccia alla genitorialità?
Si dice che un uomo diventi padre non immediatamente ma col tempo, perché l’esperienza del parto è un’esperienza carnale profonda, fatta di odori, suoni che creano un legame d’istinto non eguagliabile tra madre e figlio. La paternità è un percorso di introspezione e maturazione fatta per step successivi ma l’uomo, esattamente come la donna, dovrebbe decidere se e quando intraprendere il percorso della paternità.
In “Io madre mai” vi sono le confidenze di ragazzi e uomini che lamentano cliché che tutti conosciamo: “Tu sei l’eterno Peter Pan!” oppure “Eh tu si che ha capito tutto della vita, tu ti vuoi divertire!”. La scrittrice e sceneggiatrice Anna Pavignano in quarta di copertina afferma che “Io madre mai” è un romanzo in cui ogni donna si può identificare e ogni uomo ha qualcosa da scoprire. Questo perché ciò che manca spesso, in questi tempi liquidi e digitali, è la comunicazione profonda.

Dieci anni fa, la nascita di tua figlia. Cosa è cambiato in te? Ripensi mai a quando dicevi “Io madre mai”?
Si, ci penso spesso. Ma vedi, io mi sento esattamente la stessa di prima. L’unica differenza è che da un certo momento in poi una figlia ti porta naturalmente a coniugare i verbi al futuro: le dirò, le insegnerò, ci sarò.

Nel libro parli di “maternità alternative”. L’educazione di un bambino può avvenire in molti modi?
Una volta un’educatrice, parlando dei bambini, usò un aggettivo che trovai lì per lì inopportuno. Mi disse: “Ricorda, i bambini sono esseri opportunisti”. Strana espressione che cela però una grande verità: i bambini, per istinto, proprio come dei girasoli, si inclinano naturalmente nella direzione da cui proviene il calore. Nelle famiglie disfunzionali i bambini ricavano una loro confort-zone in cui sopravvivere. Se non riceveranno amore o se saranno costretti a vivere in un deserto emotivo, quel deserto se lo porteranno dentro e probabilmente lo ricreeranno a loro volta. Ecco perché penso che l’unica famiglia che meriti tale nome, a prescindere che sia formata da una persona sola o da due persone, sia quella in cui un bambino una bambina trovino l’amore, l’unico vero prerequisito.

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