In Italia molti lavori “non convenzionali” sono invisibili agli occhi delle Istituzioni. È il caso delle sex workers, che oltre a trovarsi improvvisamente senza fonti di reddito non possono neanche accedere a forme di sostegno statali, non essendo legalmente riconosciute come lavoratrici e lavoratori. Per far fronte all’emergenza Coronavirus il collettivo transfemminista Ombre Rosse, insieme ad un’ampia rete di associazioni, collettivi e unità di strada, ha lanciato durante il lockdown la campagna di crowdfunding nazionale, “Covid19-Nessuna da sola-Sostieni le sexworker“.
I fondi raccolti sono stati gestiti dal “Comitato per i diritti civili delle prostitute” fondato nel 1982 da Pia Covre e Carla Corso, che ha distribuito le donazioni (e continua a farlo), attraverso le unità di strada presenti sul territorio, come il “Mit – Movimento Identità Transessuale”. Il denaro raccolto, finora oltre 21mila euro, è servito ad acquistare pacchi alimentari e generi di prima necessità, farmaci e presidi sanitari, a sostenere il pagamento di utenze e affitti per le/i sexworker in grave situazione di indigenza. Ora, la campagna “Nessuna da sola” continua con il secondo volume di “Red Shadows”: dopo le prime 13 tracce rilasciate a giugno con il primo volume, una nuova benefit compilation propone altri 13 brani realizzati dal collettivo Witches Are Back, disponibili su Bandcamp dal 15 dicembre, in vendita con le shopper bags e i gadget (clicca qui per acquistarli). Al progetto hanno partecipato 19 artisti italiani ed internazionali e l’attivista Doublewhy, che ha realizzato le grafiche. “Red Shadows II” vede, tra gli altri, la partecipazione straordinaria di Ixindamix, che da 30 anni crea pietre miliari della cultura rave, con il contributo di alcune personalità della scena underground e queer come Produkkt, Anna Bolena, Lady Maru, Suit Kei, Impy, Yva e The Toy George.
The Trip è la traccia di Ixindamix che vi presentiamo qui in anteprima.
Valentine aka Fluida Wolf è una delle alleate del collettivo Ombre Rosse, protagonista della campagna di crowdfunding “Nessuna da sola: Solidarietà immediata alle lavoratrici sessuali più colpite dall’emergenza”. È autrice del libro Postporno (Eris Edizioni, 2020) e transfemminista. Noi l’abbiamo incontrata.
Cosa è Ombre Rosse e cosa rivendica oggi un collettivo femminista di sex worker come il vostro?
Come hai anticipato, Ombre Rosse è un collettivo transfemminista di sex worker e (altre/i) attiviste/i alleate/i. Tra le pratiche messe in campo, vi è la lotta contro la violenza che tocca tutte le donne, cis e trans, abili e disabili, di ogni nazionalità, classe sociale, età, religione e razza, buone e cattive!
Come scritto nella presentazione all’interno del blog:
“Siamo contro la violenza, la stigmatizzazione e la criminalizzazione di chiunque si ritrovi a vendere prestazioni sessuali – che sia per scelta, per costrizione, o più semplicemente per circostanze di vita. Sosteniamo i diritti al lavoro sessuale e alla migrazione, in un’ottica e pratica volta a liberare le-i sex worker da abusi, sfruttamento e lavoro forzato.
La violenza contro di noi e’ parte integrante della violenza patriarcale: siamo parte del movimento femminista”.
Alcune delle principali rivendicazioni possono essere riassunte in questi punti:
• Diritti per tutti e tutte le sex workers
• Decriminalizzazione del lavoro sessuale e della migrazione
• RISPETTO e NON STIGMA
• Immediata riapertura (o scomparsa) delle frontiere, perché è l’unico vero modo per combattere la tratta. Finché una persona sarà considerata “illegale”, sarà sempre ricattabile e senza diritti.
Come stanno vivendo le/i sex workers in questo periodo di pandemia? Quali sono le richieste più frequenti che ricevete?
Alla fine del primo periodo della campagna abbiamo steso un report che ben illustra la situazione che troppe/i sex worker hanno dovuto fronteggiare e che tuttora perdura.
L’arrivo del covid-19 e il conseguente lockdown, hanno portato all’escalation delle situazioni di disagio, povertà, mancanza di tutele e ammortizzatori sociali che ha travolto le persone più marginalizzate, tra cui un alto numero di sex worker, molte delle quali migranti e sole. Per questo si è resa necessaria un’attivazione dal basso.
Le richieste più frequenti parlano molto della drammaticità della situazione. Cito dal report sopra indicato:
“La mancanza di cibo è stata l’esigenza maggiormente espressa, la percentuale si aggira attorno al 73%. Questa esigenza è stata soddisfatta in due modi:
– Invio di pacchi e distribuzione cibo attivando le risorse territoriali delle singole città.
– Invio di soldi in caso di impossibilità di attivare le suddette risorse.
Tra le maggiori preoccupazioni inoltre spiccano anche quelle dovute al covid-19, a cui si è cercato di far fronte fornendo informazioni comprensibili e dotando le lavoratrici e lavoratori di mascherine, guanti e igienizzante.
Anche le spese mediche sono state una voce piuttosto importante.
Sempre in maniera preponderante è emersa la totale mancanza di soldi per pagare gli affitti e le utenze, accompagnata dalle pressioni di molti locatari.
Viste le altissime richieste, si sono affrontate prioritariamente le situazioni più emergenziali sotto vari profili. Non riuscendo a coprire il totale – altissimo – dei costi di affitti e utenze, in generale si è provveduto a mandare dei contributi parziali di importo uguale per chiunque ne facesse richiesta. Anche in più momenti.
Specialmente nei contatti successivi è venuta a galla un’alta richiesta in merito alla mancanza di documenti”.
Ci tengo a sottolineare che la situazione si fa sempre più dura. In questi mesi estivi il lavoro è stato poco, molte/i sex worker hanno continuato a non avere risorse per pagare gli affitti, nemmeno gli arretrati, quindi ora si sono generati debiti molto alti con le conseguenti pressioni da parte dei locatari.
Anche la necessità di cibo è riemersa fortemente.
Se durante il primo lockdown il fatto che le/i sexworker più vulnerabili fossero senza cibo ha generato titoloni sui giornali, ora tutto ciò non fa più notizia e anche la solidarietà è praticamente scomparsa.
Per questo, iniziative come quella di Witches are Back, sono fondamentali. Oltre a dare un aiuto concreto servono a riaccendere l’attenzione su una situazione che non vedrà presto soluzioni.
Ci sono aree specifiche d’Italia in cui intervenite? E c’è un bisogno differente o è omogeneo in tutto il Paese?
Le richieste sono arrivate da circa 25 città sparse lungo tutta la penisola. I bisogni sono stati piuttosto omogenei. Ovviamente dove ci sono associazioni e unità di strada molto radicate e attive nei loro territori, va da sé che il numero di contatti sia stato più alto che in altri luoghi.
Il fatto di aver raggiunto così tante città dipende proprio da come è stata pensata e organizzata la campagna fin dall’inizio. Il crowdfunding su Produzioni dal Basso è stato lanciato dal Comitato per i diritti civili delle prostitute, Ombre rosse e una da rete composta da numerose associazioni e unità di strada, la Rete Nazionale anti-tratta, da anni al fianco delle/dei sex worker a livello nazionale e sempre attiva sul campo.
Queste stesse associazioni, così come molti altri soggetti e persone alleate che si sono aggiunte in corsa e si sono attivate nelle loro città, hanno raccolto localmente, nei loro territori di competenza, i bisogni e le varie richieste di aiuto, valutandone l’urgenza e le necessità e inviando poi richiesta di erogazione di denaro al Comitato, che di volta in volta ha distribuito le risorse del crowdfunding.
Il vostro collettivo si batte per i diritti ma anche contro lo stigma e la criminalizzazione del lavoro sessuale. La cultura patriarcale è ancora molto presente o sta cambiando qualcosa?
Ombre Rosse ha più volte rimarcato che il coronavirus non ha fatto altro che rendere visibili le contraddizioni esistenti. Le/i sex worker erano in difficoltà anche quando andavano a lavorare. Nessuna tutela, nessun diritto; perché il lavoro sessuale non è ancora considerato “lavoro” e questo dipende dal forte stigma sociale e culturale che ancora permea la nostra società. Lo stigma pesa come un macigno su chi fa sex work: marginalizza, invisibilizza, discriminia e ti costringe nell’ombra. Inoltre spesso va a sommarsi ad altri stigma, pensiamo alle lavoratrici trans, migranti, razzializzate, senza documenti e in povertà.
L’esclusione sociale è violenza così come il mancato riconoscimento dei diritti.
Il lavoro sessuale non è criminalizzato in sé, ma è criminalizzato tutto quello che c’è intorno, rendendo complicato ogni aspetto.
Come ha detto Pia Covre in un’intervista: “L’Italia non ha mai accettato che la prostituzione venga considerata lavoro, sia dal lato cattolico che da quello femminista. Si tratta di posizioni tendenti all’abolizionismo o alla regolamentazione stringente”.
Durante il primo lockdown l’Italia si è resa conto che chi fa sex work non ha tutele. Nonostante le richieste partite anche dalle organizzazioni internazionali in merito al diritto agli ammortizzatori sociali, le istituzioni sono rimaste totalmente sorde.
Ed è per questo che continueremo a ribadire che “SEX WORK IS WORK”.
Se guardiamo a ciò che ci succede intorno ogni giorno direi che è evidente che il patriarcato è vivo e vegeto. Deve però fare i conti con il fatto che oggi in campo le forze e le presenze che puntano a decostruirlo e abbatterlo sono aumentate, riguardano sempre più fette di popolazione e le reti si sono moltiplicate.
In questi anni si è parlato spesso di legalizzare il lavoro delle/dei sex worker, ma nulla è cambiato. Cosa proponete?
Ombre Rosse porta avanti soprattutto un discorso sulla decriminalizzazione anche perché al momento, le proposte di regolamentazione che rischiano di passare, sono modelli che partono ancora una volta dallo stigma, che mettono in un unico calderone tratta e sexwork e che – come si è già osservato in Svezia e Norvegia – porterebbero ad un peggioramento delle condizioni lavorative.
Il famoso “modello nordico”, centrato sulla criminalizzazione di chi acquista servizi sessuali, ha finito ovviamente per ritorcerci contro chi li vende.
Sono state intervistate molte lavoratrici in Svezia e Norvegia e oggi abbiamo numerosi report sul fallimento di questo modello, compreso quello di Amnesty International del 2016, che invita fortemente le autorità norvegesi a cambiare il proprio approccio e mettere la protezione dei diritti umani di tutte le persone che vendono sesso al centro degli interventi sul commercio sessuale.
Le alternative esistono. Ad esempio il modello neozelandese è stato introdotto nel 2003 con il fine di decriminalizzare la prostituzione. Questa regolamentazione si inserisce in un quadro normativo dove al centro vi sono i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori.
In Italia solo la decriminalizzazione porterà alla possibilità di iniziare dei percorsi realmente collettivi e allargati che pongano al centro le istanze delle/dei sex worker, così come la possibilità di lavorare insieme ad altre colleghe e avere degli spazi condivisi in cui sentirsi safe.
Se una/un sex worker oggi volesse “legalizzare” la propria posizione anche ai fini della contribuzione previdenziale, penso ad esempio all’apertura di una partita iva, di quali strumenti legali può disporre in assenza di norme specifiche?
Sì, esiste la possibilità di aprire una partita I.V.A. con un codice ATECO che sta per “altre attività di servizi alla persona” e che in un punto vede specificato “Agenzie matrimoniali e di incontro” che contempla espressamente la dicitura “attività di accompagnatrici”.
In un paese come l’Italia è ovvio che solo poche – spesso privilegiate- lavoratrici scelgano questa opzione.
Lo stigma è troppo pervasivo per potersi permettere il lusso di essere registrate con nome e cognome e con l’attività di “accompagnatrice” ed emettere fatture per i servizi erogati.
Inoltre è una modalità di legalizzare il sex work piuttosto classista che si può permettere solo chi ha i documenti e riesce a raggiungere determinate cifre. Altrimenti la partita iva ti strozza.
Noi vogliamo tutele per tutt*, al di là del genere, passaporto, provenienza, classe sociale. E’ da qui che si dovrebbe partire.
Recentemente, nel movimento lgbt+, è riemerso lo scontro sull’esclusione delle persone trans dalle dinamiche politiche di un certo femminismo radicale. Chi sono le TERF e perché è grave ciò che sta accadendo?
In realtà è uno scontro che esiste da molti anni, persone come Pia Covre e Porpora Marcasciano ci hanno avuto a che fare diverse volte nel tempo.
Su chi sono le TERF mi scuso ma darò semplicemente la definizione di Wikipedia:” Il “Trans-exclusionary radical feminism (o TERF) è un sottogruppo del femminismo radicale caratterizzato da transfobia, soprattutto transmisoginia e ostilità verso la terza ondata di femminismo. Credono che le uniche vere donne™ siano quelle nate con una vagina e cromosomi XX”.
Preciso che non sono d’accordo nel lasciare a questi gruppi l’aggettivo “radicale”. Di certo non sono loro quelle che “vanno alla radice” delle questioni, anzi.
Di solito, al contempo queste femministe sono anche SWERF (Sex worker exclusionary radical feminism), si autodefiniscono “abolizioniste” (scordandosi da dove viene questo termine e appropriandosene) e puntano appunto ad “abolire” pornografia e prostituzione. Non riconoscono la possibilità di autodeterminarsi come sex worker. Tutto è tratta e sfruttamento e se qualcuna fa presente che sono cose diverse e c’è chi sceglie il lavoro sessuale, allora diventa subito una “sfruttatrice” e una “pappona”. La cosa interessante è che tutte le SWERF in cui sono incappata non erano nelle reti che lavorano nell’anti-tratta anche se ogni giorno ne parlano, ovviamente sempre in maniera molto violenta.
Sono tutti pensieri molto contorti.
Io cerco di non parlarne molto e non dare loro visibilità. L’unico motivo per cui ogni tanto tocca “occuparsene” è che sono persone che spesso stanno nei luoghi decisionali, nelle accademie e hanno incarichi politici che le portano a tentare di legiferare sui corpi altrui.
Siete state in piazza con ‘Non una di meno’: perché è ancora importante manifestare e scendere in strada?
I movimenti per i diritti delle sex worker sono sempre scesi in piazza per portare le proprie istanze, come tutte le categorie di lavoratrici e lavoratori.
Oggi ci inseriamo nella corrente del transfemminismo, siamo scese in piazza con Non Una di Meno ma anche con Smaschieramenti e altre realtà, così come abbiamo protestato anche da sole contro iniziative abolizioniste.
La maggior parte delle persone sex worker attiviste sono tutt’oggi nell’ombra, anche nei collettivi che frequentano da anni.
Manca quella presa in carico da parte del transfemminismo italiano delle istanze delle sex worker. Se guardiamo anche solo alla Spagna, la situazione è molto diversa.
Siamo però certe che ci arriveremo. Le persone, rispetto a qualche anno fa, stanno iniziando ad essere maggiormente propense all’ascolto di un collettivo come Ombre Rosse e chi fa attivismo in qualche modo sta occupando sempre di più spazi politici, mediatici, accademici, online, etc.
Insomma, arrendetevi! SEX WORK IS WORK!