L’assemblea nazionale è stata la prima dopo 20 anni: si è parlato di decriminalizzare la prostituzione, di stigma, salute, sicurezza, migranti e dignità del lavoro.
La Redazione
Collettivi, associazioni e singole (e singoli) sex worker provenienti da tutta Italia si sono date appuntamento a Bologna, per discutere di decriminalizzazione, stigma e diritti della prostituzione. L’occasione è stata la Giornata internazionale del sex work dello scorso venerdì 2 giugno. L’evento, suddiviso in due giornate, è stato il primo congresso dopo oltre vent’anni e si è tenuto nella sede del Mit (Movimento italiano trans) e presso l’Auditorium Enzo Biagi della biblioteca comunale Sala borsa di piazza Maggiore.
In Italia, dopo l’approvazione della legge Merlin che nel 1958 abolì le “case chiuse” o “di tolleranza”, il lavoro sessuale si è spostato per lo più in strada e il modello normativo è stato quello definito abolizionista. Secondo le norme italiane vigenti, infatti, la prostituzione non è esplicitamente vietata dal codice penale ed è di fatto ignorata come libera professione. Sono tuttavia illegali alcune condotte collaterali come lo sfruttamento, l’agevolazione e l’adescamento: atti ben differenti da chi esercita il sex work in modo lecito. Chi, oggi, si occupa di diritti delle sex worker propone la decriminalizzazione e il riconoscimento del lavoro sessuale come un qualsiasi lavoro, che garantisca un reddito, il diritto alla salute e alla sicurezza, la lotta contro pregiudizi e stigma, ancora troppo presenti nella nostra società, non solo in Italia.
Nel nostro Paese, la maggior parte delle persone che vendono prestazioni sessuali sono donne, tra le quali molte sono donne trans. Una percentuale che arriva al 79,4% per le presenze in strada. In numeri minori sono presenti anche uomini.
Gli interventi
Pia Covre, fondatrice e leader del Comitato per i diritti civili delle prostitute, ha detto: «Tra poco metteremo anche noi le tende come gli studenti. Dobbiamo pagare le tasse, ma non abbiamo gli stessi diritti di altri lavoratori. Si prenda atto che è un lavoro, chiediamo di avere il diritto di poterlo fare senza essere sfruttate o finire in galera. I decreti sui migranti, come quello di Piantedosi, o come i Daspo urbani ci hanno fatto diventare criminali. In ogni momento le donne straniere che lavorano in strada possono essere chiuse nei Cie, senza processo, con una condanna a tempo indeterminato. Mi spiace ma non riesco a non pensare ai lager del sistema nazifascista».
Per Porpora Marcasciano, presidente e fondatrice del Mit e consigliera comunale di Coalizione civica a Bologna, «è una questione di diritti e di repressione, che bisogna ostacolare perché sta passando il modello nordico di criminalizzazione che assolutamente non vogliamo. La prostituzione è un mezzo per molte donne, trans e uomini per uscire da situazioni difficili, per emanciparsi e per autodeterminarsi».
Swipe è un’associazione di sex worker e alleatə, creata per supportare e sostenere i diritti delle persone che fanno sex work e per promuovere una cultura inclusiva, non giudicante e destigmatizzante. Si identifica nel femminismo intersezionale: la battaglia, per le militanti e i militanti di Swipe, è combattere attivamente contro tutte le discriminazioni e violenze basate sull’identità di genere, l’orientamento sessuale, l’etnia, la religione, la classe sociale, la (dis)abilità, la forma fisica, lo status migratorio. Elettra Azarath, sex worker e volontaria di Swipe, denuncia «i papponi del 2000» che sono «i palazzinari che affittano in nero solo alle prostitute con prezzi da sfruttamento; la legge attuale di fatto ci isola, perché potremmo essere denunciate per favoreggiamento se ci aiutiamo a vicenda».
Per Dea Venere, del comitato diritti civili: «Anche quando subiamo violenza siamo trascurate dai servizi. Subiamo violenza anche da parte delle istituzioni, non solo dei clienti. È palpabile che veniamo trascurate».
Il congresso è terminato con un corteo, partito attorno alle 5 di pomeriggio da via dei Mille, che ha attraversato parte del centro di Bologna.