Dopo il focus sulla Siria, FACE Magazine.it prosegue il suo approfondimento sulla scena teatrale contemporanea in Medio Oriente. Il teatro iracheno non è ancora conosciuto dal grande pubblico, ma è uno dei più interessanti della regione. Ne parliamo con Antonio Pacifico, dottorando in Studi arabo-islamici presso l’Università Jean Moulin di Lione. Antonio Pacifico ha collaborato con il Napoli Teatro Festival Italia (NTFI) e, attualmente, continua ad occuparsi di questioni legate alle culture arabe contemporanee che vanno dalla prosa al teatro, dalla poesia agli usi letterari della Storia.

Una foto di uno spettacolo di Jawad Al-Assadi

Mi parli del teatro iracheno. Quali sono le tematiche più trattate dagli autori iracheni contemporanei?
Ad oggi, gli artisti e i drammaturghi iracheni si interessano a una grande varietà di tematiche, proprio come i loro colleghi europei. Oltre alla tema dell’esilio, molti autori trattano dei problemi legati al settarismo etnico-religioso, del settarismo culturale, dello stato gravissimo in cui versa l’Iraq contemporaneo. Parlano del modo con cui l’individuo ha vissuto e vive gli eventi traumatici della grande Storia recente. Trattano di persone con ansie, sogni, preoccupazioni: di persone come noi. Parlano un linguaggio contemporaneo e globale. Ma questo, naturalmente, è soltanto il primo dei tanti livelli di lettura possibili. Negli ultimi anni, l’Iraq è tornato centrale nei processi di produzione della cultura e se fino a qualche decade fa, il paese rappresentava uno spazio interessante soltanto dal punto di vista della ricezione e consumo delle opere culturali, oggi, la situazione è molto cambiata.
Non sono pochi gli artisti e i drammaturghi iracheni che sono tornati a mettere in scena le loro pièce in giro per il mondo. Molti di loro vincono premi internazionali, sono invitati a partecipare a festival e rassegne culturali un po’ ovunque. Un tempo, parlando dei paesi arabi si diceva che “Il Cairo scrive, Beirut pubblica e Baghdad legge”. Oggi, però, non è più così o per lo meno, non è più soltanto così. Baghdad sta tornando ad essere uno spazio centrale del mondo arabo contemporaneo, anche se un’arte come quella del “teatro all’italiana”, ad esempio, è arrivata in Iraq almeno trent’anni dopo, rispetto ad altri paesi come la Siria o l’Egitto.

Uno spettacolo di Anas Abdul Samad

Mi parli di qualche autore, del suo modo di “fare” e produrre teatro.
Anche Baghdad ha avuto un suo Istituto di Belle Arti. E anche Baghdad ha avuto nell’ultimo secolo diversi autori che hanno portato avanti delle sperimentazioni molto interessanti. Penso a Yusuf al-Ani, piuttosto che a Karim Chithir. Per quanto riguarda invece le figure più significative del teatro iracheno contemporaneo, mi viene da pensare certamente a un autore come Jawad Al-Assadi che, dopo aver vissuto per ben ventotto anni in esilio forzato, nel 2004, ha fatto ritorno nel suo paese e, attualmente, vive a Damasco. All’interno delle sue opere, Al-Assadi ha riflettuto su temi molto ampi, sebbene anche lui, proprio come molti altri, abbia cercato di coltivare attraverso il teatro innanzitutto una speranza, un’idea per il futuro del proprio paese che passa anche e soprattutto per un rinnovato rapporto con la Storia. Una Storia in cui la figura della donna, forte, ma soprattutto libera, ad esempio, torna ad essere centrale. Così come pure è centrale, nelle opere di al-Assadi, il suo rapporto personale con l’Iraq, con la sua terra d’origine. Ma oggi ci sono molti altri autori iracheni che continuano a “fare” e produrre teatro, sia dall’interno che dall’esterno delle frontiere politiche del paese.

Chi sono questi altri autori?
Abbiamo un autore come Bassim Al-Tayeb che si è occupato, fra le altre cose, anche di filmografia e di serie TV. Ma abbiamo anche figure come Anas Abdul Samad, che proprio l’anno scorso ha portato una delle sue pièce anche in Francia e ha contribuito a fondare a Baghdad la “Compagnia del Teatro dell’Impossibile”. Un’altra tendenza che trovo molto interessante, poi, è quella di alcuni intellettuali che, pur non avendo avuto una formazione in ambito teatrale e pur non essendo proprio dei drammaturghi in senso stretto, oggi si sono messi a produrre delle pièce in esilio. Sto parlando di intellettuali come Ali Bader o Muhsin al-Ramli che, sebbene siano innanzitutto dei romanzieri o dei poeti, oggi hanno deciso di dedicarsi anche all’arte teatrale, portando in scena delle opere altrettanto interessanti. Ali Bader, per esempio, ha rappresentato di recente, in Belgio, una pièce dal titolo “Quando Fatima si fa chiamare Sophie”. In questa pièce, Bader parte dalla storia personale di una donna, chiamata per l’appunto Fatima, che fugge dal suo paese in cerca di libertà, ma soprattutto di stabilità, per poi arrivare a toccare delle tematiche molto più ampie che hanno a che fare sempre con la grande Storia recente e con un certo rapporto fra “Occidente/i” e “Oriente/i”, con i malintesi e le stereotipizzazioni prodotte dagli uni e dagli altri. D’altronde, siamo in presenza di un autore che è ben conscio dei “nuovi” pericoli creati dalla dimensione dell’esilio e che rifiuta persino di identificarsi con un particolare gruppo etnico-religioso o politico del proprio paese. Anche questo è un modo per porre un freno al “teatro” o alla “cultura della catastrofe”. Fra l’altro, molti di questi autori sono concretamente impegnati in modo molto diretto nei dibattiti presenti oggi in Iraq, intervenendo sugli argomenti più disparati anche da lontano, spesso attraverso i social o la stampa.

Uno spettacolo di Anas Abdul Samad

Quindi gli artisti e gli autori iracheni di ogni genere sono seguiti anche in Iraq, non vengono letti prevalentemente in Europa?
Contrariamente alla Siria in cui i meccanismi di censura del regime restano ancora molto forti, in Iraq si legge moltissimo e gli autori iracheni che producono all’estero sono molto letti anche dai giovani. Baghdad ha da qualche anno persino una splendida fiera del libro che si tiene ogni anno in primavera e in cui si vendono moltissimi libri. Questa è l’occasione per tantissimi giovani di conoscere da vicino i loro autori preferiti, che oggi vivono all’estero e rientrano nel paese apposta per l’occasione. Baghdad è sempre stata una città molto colta. Quello che mi preme sottolineare, però, è che attualmente la città sta riacquistando una sua centralità anche nei meccanismi di produzione. Questi scrittori producono un’arte che è molto seguita anche in patria, attraverso una postura che difficilmente può configurarsi come elitista. È sufficiente andare su internet e cliccare su uno dei profili social di questi autori che ho appena citato per comprendere quanto essi siano seguiti anche da moltissimi giovani e quanto i giovani interagiscano con loro su temi che hanno a che fare sia con l’attualità del proprio paese, sia con l’attualità internazionale. In Iraq, c’è molta speranza, soprattutto dopo la sconfitta di Daesh. Chissà che non venga tradita per l’ennesima volta.

 


Di Luca Fortis
Giornalista professionista, laureato in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali alla Cattolica di Milano. Un pizzico di sangue iraniano e una grande passione per l’Africa e il Medioriente. Specializzato in reportage dal Medio Oriente e dal Mediterraneo, dal 2017 vive a Napoli dove si occupa di cultura e quartieri popolari e periferici.