L’Irezumi è una tradizione secolare nipponica ma anche un simbolo criminale. Una storia controversa e un’arte antica che ancora oggi seduce e disturba.
Sopra la pelle, una seconda pelle. Ago dopo ago, l’espressione di un pensiero tradotta in disegni, linee e colori. È la tradizione dell’Irezumi, il tatuaggio giapponese. Un’arte antica che ha origini secolari, praticata dagli horis, i maestri.
La prima testimonianza scritta sui tatuaggi giapponesi è una cronaca cinese del 300 d.C. che riporta l’uso del tatuaggio presso gli indigeni giapponesi. Solo molto più tardi si inizia a parlare di tatuaggi giapponesi con finalità decorative ed è nel periodo Edo (1603-1868) che il tatuaggio in Giappone ha il suo vero sviluppo per come lo conosciamo al giorno d’oggi. L’Irezumi (che significa “inserire inchiostro”) usa la tradizionale pratica del Tebori, ovvero “scolpire a mano”. I disegni danno una forte sensazione di tridimensionalità, molto diversa dalle tecniche occidentali. Il tratto più distintivo dell’Irezumi sono i tatuaggi full body, come un kimono dipinto sulla pelle, una pratica che ad oggi richiede 5 anni e 100.000 euro.
Alcuni dei simboli ancora oggi usati nell’Irezumi rappresentano le carte usate nell’Hana-Fuda, il gioco d’azzardo degli Yakuza. Quanto all’iconografia classica, quelli comunemente riconosciuti come appartenenti alla cultura giapponese sono il dragone, la capra, la tigre, gli Oni (o Demoni Cornuti), il Samurai, la Namakubi (la testa mozzata).
Molti in Occidente cercano di replicare l’Irezumi, ma l’assenza di testi che illustrino i “canoni” dei tatuaggi giapponesi, rende impossibile tale pratica a chi non è stato un allievo di uno dei maestri Hori, gli unici depositari della tecnica peculiare utilizzata in Giappone ancora oggi.
Nonstante la sua storia millenaria però, oggi tatuaggi sono tutt’altro che ben visti nella società giapponese. In posti come piscine pubbliche e palestre, ma soprattutto nei bagni termali, è estremamente comune trovare cartelli di divieto d’accesso indirizzati alle persone tatuate. Il motivo è legato allo storico legame con la criminalità organizzata, la Yakuza che se ne è appropriata.
Tatuare, per la Yakuza, significa così marchiare per sempre l’appartenenza ad un gruppo o ad una “cosca”, da cui non si può più tornare indietro. Un legame che rende il tatuaggio giapponese un’arte antica e ambigua che affascina e seduce più l’Occidente che la terra del Sol Levante.