L’Islam e il Medio Oriente sono mondi estremamente complessi e interessanti. Per capire meglio queste realtà abbiamo intervistato Khalid Valisi, ideatore e autore del blog ‘Medio Oriente e Dintorni’.

Com’è nato il tuo progetto?
Ho avuto un percorso un po’ particolare. Mi sono convertito all’Islam molto giovane, senza una guida. Provengo da una famiglia italiana e laica. La mia famiglia è mezza lombarda e mezza campana. Le mie origini sono molto miste, alla lontana, nel mio sangue c’è davvero di tutto. Mia madre è napoletana ma ha anche origini fiorentine, spagnole e normanne, mentre mio padre ha quasi certamente un qualche legame famigliare con la Turchia, tanto che il mio cognome è turco ed è una corruzione della parola araba “Wali” che vuol dire “governatore” e “santo dei santi vivente”, in più il nome ricorda quello di Khâlid ibn al Walid, il personaggio a cui mi ispirai per la scelta del nome islamico che ho preso. Quando mi sono convertito all’Islam a quindici anni, non conoscevo minimamente il mondo musulmano. Avevo quindi la curiosità di comprendere i testi, soprattutto di autori mediorientali, che parlavano della religione islamica e della cultura dei paesi in cui l’Islam si è diffuso. Ho quindi incominciato da autodidatta per conoscere meglio la religione a cui mi ero convertito e il mondo in cui nacque. In quegli anni poi si parlava prevalentemente di terrorismo islamico e dell’undici settembre e io avevo voglia di andare oltre ai tanti pregiudizi o cliché che circolavano. Al liceo feci una tesina dal titolo “La decolonizzazione delle menti” e aveva per autori: Ngugi da Thiong’o, Mohsin Hamid, Tayeb Sei in, E.M. Forster e Derek Walcott. Poi mi regalai un viaggio a Istanbul e lì rimasi ancora più affascinato dal mondo islamico e dalle diversità culturali e religiose dei paesi in cui questa fede si è diffusa. Compresi che quello era il mondo di cui volevo far parte. Di conseguenza ho incominciato a scrivere di Medio Oriente, inizialmente parlando di sport, collaborando con mio padre che è nel settore dell’editoria ed è stato il fondatore di “Biblioteca della Moda”. Piano piano, ho iniziato ad allargare gli orizzonti e ho creato il mio blog personale in cui parlo di tutti gli argomenti che possono raccontare la cultura del Medio Oriente e dei paesi in cui l’Islam è diffuso. Racconto le tante diversità culturali e religiose presenti in questi paesi. Amo parlare di cinema, libri, luoghi da visitare e tanto altro. Realizzo podcast e articoli e li mando su tutte le piattaforme possibili. Per me è una missione personale e di vita. Mi permette di conoscere e approfondire sempre di più l’Islam e il mondo in cui è diffuso e condividerlo con le persone che mi seguono.

Ami dire che non ti senti un italiano convertito all’Islam.
Non mi sento “un italiano convertito” ma come un vero e proprio appartenente alla cultura mediorientale e islamica. Lo so che magari sembra strano, ma io sono quello che è nato e cresciuto a Milano non sentendo mia la cultura milanese e che non riesce a trovare la sua pace né a Napoli perché manca la mia fede, né a Istanbul perché manca la mia lingua. Proprio questa sento essere la mia vera particolarità rispetto a tanti altri progetti che, seppur con più titoli e qualità, raccontano questi mondi e queste terre. Io sento proprio di esserne parte e vedo questo lavoro anche come una riscoperta di quello che è il mio patrimonio. Ho un tatuaggio a cui sono molto legato che rappresenta il versetto coranico dopo Ayat al Kursi, il “Versetto del trono”, il più importante della prima surah e recita “Non c’è costrizione nella religione”. Dal mio punto di vista è il massimo esempio di libertà presente in ogni religione ed è anche il mantra che mi permette di non aver alcun pregiudizio nei confronti di ogni altra fede e culto.

La tua visione dell’Islam è molto personale. Hai compreso quanto l’Islam abbia tante scuole d’interpretazioni diverse.
All’inizio, anche io come ogni convertito, cercavo un percorso islamico che fosse considerato certo, sicuro, poi piano piano ho compreso che era più un percorso personale. Mi sono reso conto che nell’Islam ci sono tante influenze e che è un mondo estremamente complesso, un mosaico di diversità Questa diversità per me non è stata una cosa negativa, anzi mi è piaciuta profondamente. Ho quindi cominciato a raccontare queste sfaccettature, influenze e sovrapposizioni storiche sul mio blog. La parola chiave di tutto il mio lavoro penso sia la curiosità e la voglia di condividerla. Amo utilizzare tutti i mezzi che internet mi dà, mi sono specializzato in podcast che diffondo su Telegram, Instagram, Facebook, Youtube, Spreaker. Adesso sto per iniziare a farli anche in inglese. Faccio anche video per Youtube e articoli per il blog.

Come scegli gli argomenti?
Mi piace che siano un po’ pop, racconto tutto quello che può far comprendere meglio questi mondi, religione, cultura, arte, cinema, libri, moda, cibi e sport. Perché solamente mettendo insieme tutti questi argomenti si può davvero avere un quadro più esaustivo di queste culture. Negli anni mi sono molto appassionato alla storia di Ibn Baṭṭūṭa, viaggiatore, storico e giurista marocchino del 1300 che viaggiò per trent’anni in Africa e Asia e che raccontò le sue impressioni di viaggio in un’opera che si chiama al-Riḥla. Ultimamente ho deciso di usare i suoi resoconti come spunto per raccontare luoghi e tradizioni sul Medio Oriente e dintorni. In questo periodo ho fatto uno speciale sulle città anatoliche raccontate da Ibn Baṭṭūṭa. Alterno questi argomenti al racconto delle più importanti ricorrenze religiose islamiche e non. Per esempio durante il Ramadan descrivo tutti gli aspetti di questo mese sacro per noi musulmani, ma amo raccontare anche di film e serie mediorientali. Penso che questi due argomenti siano un’accoppiata vincente, perché quando si digiuna di giorno, vedere un bel film aiuta a fare passare il tempo più velocemente.

Nel tuo blog consigli molti libri.
Amo partire dai libri per raccontare altro, in questo periodo sto leggendo “Al di là della montagna” di Yashar Kemal che mi ha dato lo spunto per parlare, in uno dei prossimi podcast, della Çukurova, una provincia della Cilicia Pedias/Piana. Una delle regioni più fertili della Turchia. Sempre ispirandomi a quest’opera, uscirà presto una puntata sulla figura del Mukthar, il capo villaggio tradizionale ottomano. Ultimamente ho parlato delle Primavere arabe attraverso libri ed interviste e poi sono partito da libro “Sovietistan” di Erika Fatland per raccontare la storia dei paesi dell’Asia Centrale. In futuro mi piacerebbe parlare di tappeti, per esempio raccontando per ogni città un tappeto tipico del luogo. Ho anche lanciato un nuovo progetto sui libri, sarà un catalogo virtuale di tutti i libri che parlano di Medio Oriente che si possono leggere in italiano. Mischiare la cultura più alta con il pop, secondo me, è molto importante perché permette di utilizzare per esempio il linguaggio delle persone e così veicolare meglio un messaggio complesso. Attualmente mi seguono molti universitari, che amano approfondire ancora di più questi argomenti.

Hai fatto anche delle belle puntate su diversi calendari mediorientali ed europei.
Sì mi sono divertito a raccontare i diversi calendari che scandiscono il tempo e la vita, non solamente in Medio Oriente. Oltre al calendario islamico, ve ne sono altri. Per esempio il calendario zoroastriano di origine persiana. Nel calendario zoroastriano ogni mese è dedicato a uno specifico elemento della religione e lo stesso vale per i nomi dei giorni, che sono 30 e tutti diversi fra loro. Quando il nome del mese coincide con quello del giorno, allora si ha una festa. Il primo giorno dell’anno corrisponde con l’inizio della primavera, tendenzialmente il nostro 21 marzo, anche se la data può oscillare. “Il primo giorno dell’anno è il Nowruz, ovvero il Capodanno. Il suo nome in persiano ha questo significato. I Zoroastriani credono che Dio l’Altissimo, in questo giorno, abbia fatto roteare le sfere e abbia messo in moto il Sole, la Luna e tutti i pianeti. Il 17 è, invece, il giorno di Sorush. Sorush è il nome di un angelo, custode della notte, che si dice corrisponda a Gabriele.

Hai raccontato anche la figura di Alessandro Magno nella letteratura epica persiana dello Shanamè di Ferdowsi.
Ferdowsi è senza dubbio il più celebre e rinomato autore persiano a trattare della figura di Alessandro il Macedone, formando quelle che saranno le fondamenta del suo mito nella letteratura neo-persiana. Il poeta unirà per primo i racconti del “Romanzo di Alessandro” e quelli coranici di Dhul-Qarnayn, dando vita per la prima volta a un “ibrido” delle due figure, che sgrezzerà, poi, con la sua mirabile dote poetica. L’Alessandro Magno di Ferdowsi, infatti, sarà la base di un nuovo corso narrativo che svilupperà una nuova visione, sovrapponendo storia, mito e racconti coranici. Il macedone è qui un vero e proprio eroe universale, in grado di unire Oriente ed Occidente attraverso una sorta di “missione profetica” che lo porterà persino alla Mecca, seppur da semplice monoteista. Alessandro diventa allora una sorta di “proto-Muhammad” più mobile e battagliero, diventando un vero e proprio messaggero divino. Ferdowsi immagina draghi, giganti, incontri mistici, terre lontane, battaglie e creature fantastiche; elementi che già da soli portano ogni lettore a sognare, ma che, uniti ad una figura quale Alessandro diventano qualcosa di davvero straordinario. “Il libro della Fortuna di Alessandro” di Nezami, tradotto da Carlo Saccone.

Ti sei divertito anche a raccontare i jinn.
Secondo il Corano, i jinn sarebbero degli spiriti creati dal fuoco nella stessa maniera in cui gli uomini vennero creati dalla terra. Proprio a tale condizione si associa la disobbedienza di Iblis, che, rifiutandosi di prosternarsi ai piedi di Adamo, venne dannato per sempre, acquisendo il nome di Shaytan, ovvero il Diavolo. Tuttavia, a differenza del mondo biblico, nel quale gli spiriti sono perlopiù associati con demoni e figure maligne, nell’Islam sono semplicemente un’altra forma di esseri viventi, non per forza malvagi. Vi sono infatti episodi in cui i jinn aiutano profeti o si convertono all’Islam, inoltre possono generare prole e al loro interno vi sono più famiglie, quali i marid e gli ifrit. Non si è compresa ancora appieno la vera distinzione fra i due, ma sembrerebbe che i secondi siano quelli più potenti e inclini ad ingannare gli umani. Oltre all’essere di fuoco, però, la loro caratteristica più importante è quella di essere posti in una diversa dimensione da quella umana, risultando così invisibili. Per chi vuole approfondire il tema consiglio.

Hai fatto una puntata sul pazzo sacro nell’Islam, raccontato dal grande studioso di islamistica Alessandro Bausani.
Sì, in una delle sue pubblicazioni Bausani scrive dei Malamatiyya, un gruppo di mistici attivi nel 9° secolo nella regione che può oggi esser definita con il nome di “Grande Khorasan”. In queste terre tanto lontane, fiorì uno gruppo straordinario, fatto da persone che erano allo stesso tempo incredibilmente fedeli e straordinariamente eretici, esempio perfetto di “pazzi sacri”. Il loro nome viene dalla parola araba “malama”, ovvero “colpa”, oggetto costante del loro desiderio. Seguendo un principio incredibilmente taoista, infatti, quest’ultimi consideravano meritevole la lotta, più che il dialogo con Dio, differenziandosi quindi in modo inequivocabile con il mondo sufi, vera spina dorsale del pensiero mistico islamico. I tratti centrali di questa scuola, in particolare, erano: la costante lite con il Divino, forte gioia nello spezzare leggi, convenienze e morale ed infine un vero e proprio capovolgimento dei valori, con un’incredibile gioia per l’esser torturati o addirittura uccisi, secondo loro da Dio in persona. La figura più leggendaria di tale gruppo, ovvero Meshreb, d’altronde, sembra non lasciare spazio ad analisi con questa sua frase, decisamente rappresentativa dei Malamati: “Dio non ama i senza peccato, ama i peccatori. Quindi io ora commetterò un peccato osceno; se l’uomo di Dio mi farà poi impiccare e morire, meglio così” Tale percorso iniziatico, porta quindi il fedele a diventare volontariamente “pazzo”, invogliandolo a compiere azioni sempre più eretiche e turpi proprio come esercizio di avvicinamento a Dio.

Hai anche raccontato “Il verbo degli uccelli”, capolavoro di Farid ad Din Attar.
“Il verbo degli uccelli”, è considerato il capolavoro di Farid ad Din Attar, maestro dell’ancor più celebre Rumi. L’opera usa come stratagemma narrativo la ricerca degli uccelli, al fine di portare il lettore in un vero e proprio percorso mistico. I volatili saranno infatti convinti dall’Upupa a mettersi alla ricerca di Simurgh, leggendario re degli uccelli della mitologia persiana, posto a guardia dell’albero dei semi e a quello dell’immortalità. La ricerca, però, non sarà priva di fatiche e le bestiole dovranno affrontare ben sette diverse valli che ne testeranno virtù e doti. Solo in trenta riusciranno a giungere al cospetto del leggendario Signore, scoprendo però qualcosa di incredibile. Troveranno infatti davanti a loro uno specchio, realizzando che “Simurgh” può essere facilmente trasformato in “si murgh”, che in persiano vuol dire, appunto, 30 uccelli. Attraverso questo percorso, infatti, i protagonisti hanno annullato sé stessi per raggiungere l’Amato, riuscendo de facto a diventare parte di esso. Non a caso, una delle metafore sufi preferita da Attar è quella “della falena e della candela”. In questo racconto si elogia appunto l’insetto, tanto innamorato della luce divina da arrivare persino a bruciarsi pur di assaporarla appieno. In quest’opera, d’altronde, sono frequentissimi i richiami a un pensiero che si pone fra Oriente ed Occidente, incorporando tutto ciò che vi è nel mezzo. Proprio perché sono aree da sempre collegate e non esiste un noi e un voi. Come nel taoismo, in particolare, Attar mette in luce una sorta di equilibrio costante e fragilissimo che circonda l’universo, al quale è necessario sottostare per andare avanti. Ne è un esempio la valle della privazione e dell’annientamento, l’ultima prima di raggiungere l’Amato. Solo attraverso la perdita, infatti, sarà possibile colmare il vuoto con il proprio Signore, in un meccanismo che fila perfettamente con il ciclo costante dello Ying e dello Yang.

Hai raccontato anche il Tengrismo.
Sì, prendendo spunto dal fatto che Netflix ha caricato il film “Mongol”, ho deciso di raccontare il Tengrismo, l’antica religione dei turchi e dei mongoli. Il Tengrismo è un culto di stampo animistico che vede le sue origini nell’Asia Centrale, fu la prima religione di tutti quei popoli nomadi che, proprio in questi territori videro la luce. Proprio in virtù di questi luoghi, il culto è caratterizzato da una profonda simbiosi con la natura e gli spazi aperti. Lo stesso nome Tengri in mongolo va anche a significare “cielo”, indice di come esso sia strettamente legato ai grandi spazi aperti. Anche per questo motivo, tale culto ha dei veri e propri luoghi naturali sparsi per il globo, da loro considerati come sacri. In passato fu la religione dei mongoli, degli unni, delle genti turche e dei bulgari, oggi però di questa religione rimane solo qualche reminiscenza in alcune province russe a maggioranza turca. Il Tengrismo può dirsi una religione a metà fra una cultura prettamente nomade e primitiva e un modo di ragionare che, per certi versi, ha molto in comune con filosofie quali taoismo e sufismo. Secondo questo culto, infatti, esiste un solo Dio, Tengri, ma tuttavia non vi è un’unica religione, poiché l’umanità non ha ancora raggiunto “l’illuminazione”. Per tale motivo, l’uomo ha il potere di scegliere il proprio percorso come meglio crede, ma saranno poi le sue azioni e le sue intenzioni a determinare se verrà premiato o meno. Concetti che suonano decisamente lontani dal tipo di idee alle quali sono legate solitamente le religioni animiste. Altra caratteristica particolare e molto simile all’Islam è la presenza di spiriti a noi invisibili. Questi non hanno potere su Tengri ma possono influenzare la vita degli esseri umani ai quali, al contrario, sono invisibili. Di fatto un concetto molto simile a quello al quale ruotano i jinn, gli spiriti del fuoco presenti nel Corano.    


Di Luca Fortis
Giornalista professionista, laureato in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali alla Cattolica di Milano. Un pizzico di sangue iraniano e una grande passione per l’Africa e il Medioriente. Specializzato in reportage dal Medio Oriente e dal Mediterraneo, dal 2017 vive a Napoli dove si occupa di cultura e quartieri popolari e periferici.