Il collettivo Uanm ci racconta le sue battaglie per la libertà, i diritti civili, l’emancipazione sessuale e l’ambientalismo.

I tabù sono ancora duri a morire, ma esiste un Sud fatto di nuove generazioni che tentano di sovvertire dinamiche antiche. Uno dei collettivi più interessanti nati nel Meridione è sicuramente Uanm, nato in Costiera Amalfitana. Si definisce “pensiero collettivo, azione corale, movimento differente”. Il collettivo si occupa di tematiche sociali, ambientaliste, culturali, Lgbt, legate alla sessualità a 360 gradi e di parità di genere.

La libertà sessuale in tutte le sue forme non è più un tabù o vi sono ancora resistenze? Avete fatto alcuni post sull’orgasmo femminile e su come raggiungerlo, una splendida tematica, che reazioni avete avuto?
Vivendo in Costiera amalfitana sappiamo che ci sono alcune questioni su cui non si dovrebbe mettere bocca, che ancora nel 2021 scandalizzano. L’universo sessuale femminile, poi, è ancora più un tabù, vista la diversa reputazione sessuale tra uomo e donna e la conseguente tendenza a etichettare negativamente ogni donna che viva liberamente la propria sessualità. Parlare dell’orgasmo femminile è stata una piccola rivoluzione, una liberazione dalle catene del pudore.
L’aspetto migliore di averne parlato è stato trovare molte persone che, come noi, avevano un estremo bisogno di vivere e esprimere la propria sessualità liberamente. Sicuramente c’è ancora molta chiusura nei confronti di questi argomenti e abbiamo ricevuto critiche anche da finti perbenisti, incapaci di riconoscere l’orgasmo femminile alla stregua di quello maschile. A forza di fare scandalo questi temi diventeranno “normali”.
Nel film-documentario Comizi d’amore del 1964 di Pier Paolo Pasolini, l’intellettuale bolognese e Alberto Moravia discutono del perché ci scandalizziamo. Ne emerge che le persone si scandalizzano perché vedono qualcosa di diverso da loro stesse che è al contempo minaccioso, poiché colpisce la persona sia fisicamente che nell’immagine che ha di se stessa. Giungono alla conclusione che lo scandalo è una paura primitiva di perdere la propria personalità e che chi si scandalizza è una persona profondamente incerta.

Avete dedicato molti post alle tematiche lgbt, me ne raccontate alcune?
Sì, lo facciamo perché ce n’è davvero bisogno. Dicono sempre che la Costiera Amalfitana sia un paradiso, ma per la piccola comunità LGBTQI+ locale non è ancora così. Qui la mentalità soffoca le persone, specialmente se decidi di dare alla tua vita un indirizzo diverso rispetto alle aspettative sociali, che tu sia gay o meno.
Lo abbiamo capito analizzando i risultati del sondaggio “Omofobia in Costiera Amalfitana” che ha coinvolto 55 persone della comunità LGBTQI+ locale, diffuso il 17 maggio in occasione della Giornata Internazionale contro Omobilesbotransfobia. Abbiamo dedicato un’intera settimana a questo argomento perché, oltre ad essere attuale grazie al Ddl Zan, è soprattutto una patata bollente anche all’interno della comunità LGBTQI+, poiché molti talvolta nascondono un’omofobia interiorizzata.
Durante il mese di giugno abbiamo dedicato una settimana al Pride, celebrando i Moti di Stonewall di New York City del 1969 che rappresentano l’origine del movimento LGBTQI+ così come lo conosciamo oggi.
In Costiera questi argomenti devono essere affrontati costantemente e in maniera onesta. Si vive ancora aggrappati a idee retrograde la cui conseguenza è quello di omologarsi alla società, seguendo in maniera acritica le indicazioni imposte dalle vecchie generazioni che oggi non reggono più. Chi non si omologa viene discriminato ed etichettato come diverso.
Bisogna far capire anche qui che la diversità, se così vogliamo chiamarla, è ricchezza. È un valore aggiunto. Ognuno deve essere libero di esprimere la propria Natura nel modo più autentico possibile.

Avete chiesto in alcuni centri della Costiera alle persone cosa farebbero se uno dei loro figli si dichiarasse gay o lesbica, che cosa vi hanno detto?
È decisamente un’esperienza diversa rispetto alla creazione di contenuti sui nostri canali social. Guardare le persone negli occhi e chiedere loro come reagirebbero ha un impatto molto forte.
Temevamo di riscontrare alcune difficoltà, ad Amalfi è andata peggio di come ci aspettavamo. Le persone avevano estrema difficoltà a esprimere la loro opinione, un misto tra vergogna o pudore e talvolta ribrezzo. Un uomo sulla cinquantina, in un caso specifico, ci ha rivolto minacce verbali che per poco non si sono tradotte in violenza fisica. Ammettiamo che è stato un momento molto deprimente.
Le uniche persone con cui è stato possibile dialogare non sono state disposte a dire la loro davanti alla telecamera.
In seguito all’esperienza ad Amalfi abbiamo ritenuto opportuno cambiare metodo. Abbiamo tentato di nuovo a Praiano e contattato persone che conoscevamo che ci avrebbero introdotto meglio nella comunità. Forse anche per questo abbiamo ricevuto pareri per lo più positivi. Ci proveremo di nuovo in altri paesi della Costiera adottando la stessa formula, così ci sarà meno diffidenza e non saremo percepiti come disturbatori.

In alcuni post avete parlato di violenza domestica, esiste ancora in Costiera?
La violenza domestica in Costiera Amalfitana esiste eccome. Dall’ultimo report del Centro Anti Violenza di Minori, relativo ai primi cinque anni di attività (2015-2020), risultano 27 le donne che si sono rivolte al centro per richiedere supporto psicologico o consulenze legali o sociali. Sono donne provenienti da tutta la Costiera Amalfitana, in particolare da Maiori, Tramonti e Amalfi dove forse vi è una maggiore consapevolezza; sono vittime di violenza psicologica, di violenza fisica, di violenza economica, di stalking da parte dell’amico, del fidanzato, del marito, dell’ex.
Circa il 48% di queste donne ha deciso di denunciare, la stessa percentuale ha deciso di non farlo, il 4% ha invece ritirato la denuncia o la querela. C’è da aggiungere, inoltre, che il contesto omertoso e ipocrita costiero impedisce a molte donne di rivolgersi al centro, tant’è vero che è stato più volte richiesto alle assistenti sociali o alle dottoresse di incontrare le vittime in luoghi neutri, dove queste non potessero essere viste o “etichettate”.

Vi è qualche argomento che è ancora del tutto un tabù e che vorreste affrontare?
Durante la settimana dedicata all’orgasmo femminile e a #GODERE abbiamo condiviso alcune immagini dei capolavori dell’arte di tutti i tempi: dall’Estasi di Santa Teresa d’Avila del Bernini alla Maria Maddalena in Estasi del Caravaggio.
Il nostro peccato mortale è stato quello di associare delle icone religiose al concetto di sessualità o peggio ancora all’orgasmo femminile. Dell’opera del Bernini lo stesso psicoanalista, psichiatra e filosofo francese Lacan scriveva: «Elle jouit, ça ne fait pas de doute». Sta godendo, non ci sono dubbi.
È stato durante questa settimana che forse abbiamo creato più scompiglio. In seguito a giudizi e svariate critiche abbiamo scoperto, senza troppa sorpresa, che il tabù dei tabù sarà sempre rappresentato dall’universo Chiesa, soprattutto quando si cerca di riportarla a un discorso più terreno e meno celestiale. Anche se per noi l’orgasmo continua a rappresentare una delle esperienze più spirituali e ultraterrene che ci siano.
Un altro argomento molto delicato che non abbiamo ancora affrontato è sicuramente rappresentato dalla salute mentale. In Italia si riscontra molta difficoltà a parlarne, sia da parte delle famiglie con persone con disturbi mentali che da parte della persona stessa poiché entrano in gioco sentimenti di smarrimento, dolore, rabbia, pudore, senso di colpa, vergogna. Questo perché se ne parla molto poco e c’è moltissima disinformazione.
Dobbiamo imparare a chiamare le malattie o disturbi mentali con il loro nome senza timore di essere etichettati o giudicati, cosa che in Italia e soprattutto in contesti piccoli come il nostro, risulta quasi impossibile.
Prima si accetta una malattia, per quanto dolorosa possa essere, maggiori possibilità di guarigione e di cura ci sono. Sicuramente, rispetto agli anni precedenti la Legge Basaglia del 1978 che ha condotto finalmente alla chiusura dei manicomi, qualche passo avanti si è fatto. All’epoca, quando si parlava di disturbi mentali, sembrava impossibile che si dovesse e si potesse parlare di persone, di sentimenti, di speranze. Oggi le cose sembrano cambiate ma la strada è ancora lunga.

Avere affrontato anche il tema delle dipendenze.
Come altri temi trattati e che vorremmo continuare ad approfondire, quello delle dipendenze è un argomento spinoso per la Costiera, un tabù di cui si fa fatica a parlare.
In seguito ad una raccolta dati sul territorio è emerso che nei paesi che corrono da Positano a Vietri sul Mare il Ser.D. (Servizio Pubblico per le Dipendenze) ha in cura ben 38 dipendenti da eroina, 11 da cocaina, 25 alcolisti, 21 giocatori d’azzardo, 18 persone in affido giudiziario, nonché circa 18 non tossicodipendenti in trattamento psicoterapeutico per disagio giovanile.
Numeri preoccupanti soprattutto se si tiene conto del fatto che lo sportello settimanale del Ser.D. è scomparso all’inizio del 2021 e che quindi la Costiera si ritrova nuda, senza un punto di ascolto.

Il Sud in alcuni casi è molto più avanti di quello che si pensa, come vedete le nuove generazioni?
Ci piacerebbe molto darti ragione ma quando vivi e sperimenti il Sud sulla tua pelle capisci che, purtroppo, le cose non stanno proprio così. Oggi sicuramente sono le nuove generazioni a funzionare da spinta per il futuro. Siamo noi la risorsa più preziosa perché viviamo il mondo e conosciamo realmente i problemi perché li stiamo toccando con mano. Peccato che il Sud, con tutte le sue incrollabili piramidi gerarchiche, rifugga e rifiuti con aggressività e ipocrisia tutto quello di cui avrebbe bisogno.
Il motivo per cui il Meridione arreca con fatica verso il progresso reale, sotto i diversi punti di vista, da quello ambientale, sociale a quello dei diritti, è causato dall’ingerenza di una mentalità opprimente, sfacciatamente patriarcale e atavica, e dal potere che questa detiene nei microcosmi della famiglia, della politica, dell’educazione.
Questa dolorosa arretratezza frena i giovani che, di conseguenza, abbandonano il ruolo da Don Chisciotte, smettendo di combattere contro i mulini a vento per salpare verso porti più aperti.

Avete avuto la vicinanza di persone da cui non avreste pensato di ottenerla?
Quando abbiamo iniziato a farci conoscere e a constatare che il Collettivo UANM iniziava a essere riconosciuto anche a Napoli o a Salerno, oltre a contatti con associazioni ambientali o femministe di tutta Italia, la politica locale ha pensato di poter mettere un cappello sulle nostre battaglie.
Siamo attivisti volontari e ci interessa portare avanti le nostre idee, mantenendo un alto grado di libertà. Per scrollarci di dosso le lusinghe della politica abbiamo pensato che era giunto il momento di trattare temi scomodi o tabù. Ha funzionato.

Avete avuto il coraggio di parlare apertamente del grande problema della mancata depurazione delle acque in Costiera Amalfitana.
Quando si pensa alla Divina Costa d’Amalfi si fatica a credere che nelle acque azzurre e cristalline del nostro mare si celi un grave problema come quello della cattiva depurazione delle acque reflue. Con i dati da noi raccolti risalenti alla relazione Arpac 2017, abbiamo individuato una discrepanza nell’analisi: il 75% delle acque fognarie costiere che sbocca in mare presenta un livello eco tossicologico “Non Conforme” alle normative vigenti. Nello stesso documento, poi, viene definito “Conforme” e dunque balneabile, la maggior parte delle acque che bagnano le nostre coste.
L’incoerenza di questi dati sta nel fatto che per la balneabilità e l’inquinamento delle stesse acque si faccia ricorso a due fonti normative differenti: per la prima i criteri sono rinvenibili nella direttiva 2006/7/CE; per il secondo nella direttiva 2000/60/CE.
Bisognerebbe cambiare prospettiva e non fermarsi al solo dato “sufficiente” per l’essere umano, ma garantire una tutela a 360° poiché l’ambiente circostante condiziona inevitabilmente anche la nostra salute.

Avete rotto il tabù di dichiarare in modo trasparente il fatto che è impossibile avere pesce locale o fresco nei ristoranti della Costiera, visto il poco pesce rimasto nelle acque campane e l’enorme afflusso turistico.
La promessa del pesce locale è una promessa da marinaio. Il problema è evidente: il rapporto tra domanda e offerta è sproporzionato. In realtà, considerati i flussi turistici della Costiera Amalfitana, è impossibile rispondere alla richiesta di pesce fresco locale.
Si ricorre quindi a mercati esteri, generando un aumento dell’impatto ambientale tramite il trasporto, oppure si acquista pesce di allevamento per il quale si utilizza una quantità spropositata d’acqua; questi pesci, inoltre, sono allevati con farine e oli ricavati da pescato meno pregiato catturato in mare.
Garantire la trasparenza sulla provenienza del nostro pesce è il primo passo per sfatare il mito del pesce fresco locale. Inoltre, l’Italia, essendo uno tra i paesi europei con la maggiore biodiversità, potrebbe realmente portare a tavola prodotti locali a km0 e spaziare con proposte vegane e vegetariane. Questo renderebbe la ristorazione più varia ed inclusiva.

Parlate molto di turismo sostenibile.
Sì, parliamo di turismo sostenibile perché siamo sicuri che questo sia il naturale e inevitabile futuro. Tutto il mondo si sta adeguando a uno stile di vita più sostenibile, anche se in maniera disomogenea e talvolta lenta.
Questo tema in Costiera è totalmente assente. Il nostro intento è proprio quello di sensibilizzare più persone possibili. Un turismo sostenibile sarebbe vantaggioso per le comunità locali e soprattutto per il territorio. A volte ci dimentichiamo che le persone vengono a trovarci grazie alle bellezze paesaggistiche della nostra terra. Affinché sia sempre così, dobbiamo proteggerle e salvaguardarle.
La Costiera Amalfitana è un bene prezioso di cui bisogna prendersi cura 365 giorni all’anno con attivismo sul territorio da parte soprattutto di chi ci abita, così da pretendere il rispetto e la cura da parte di chi è di passaggio.

instagram.com/collettivouanm
Foto copertina: S.R.Lentini – Unsplash


Di Luca Fortis
Giornalista professionista, laureato in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali alla Cattolica di Milano. Un pizzico di sangue iraniano e una grande passione per l’Africa e il Medioriente. Specializzato in reportage dal Medio Oriente e dal Mediterraneo, dal 2017 vive a Napoli dove si occupa di cultura e quartieri popolari e periferici.