Gli street artist iraniani Nafir e Khamoosh hanno dipinto una decina di lavori nella Vela Azzurra di Scampia ed altri nella sede dell’associazione “L’albero delle Storie”, pochi mesi prima della pandemia.
Nafir si è ispirato alla poetessa Forough Farokhzad, la quale afferma che la vita “è un ripetersi del ripetere”. Un concetto che si ritrova spesso nei tappeti, come nella ceramica. È una questione numerica e dietro questa ripetizione verso l’infinito si cela il circolo della vita. Non è in realtà una ripetizione sempre uguale, come potrebbe sembrare all’inizio, ma semplicemente uno scorrere circolare del tutto simile a quello dell’esistenza.
Khamoosh ha invece realizzato dei ritratti degli abitanti delle Vele mentre svolgono le loro attività quotidiane.
Gli artisti hanno realizzato il loro progetto in collaborazione con l’Associazione “L’Albero delle Storie” di Davide Cerullo e con il giornalista Luca Fortis.
Un’altra nascita
Di Forugh Farrokhzad
La mia intera vita è un canto oscuro
che nel continuo ripeterti
ti porterà all’alba di eterne crescite e fioriture.
Ti sospiro, oh, e sospiro in questo canto
in questo canto ti ho unito all’albero
ti ho unito all’acqua
ti ho unito al fuoco.
Forse la vita
è una lunga via attraversata ogni giorno da una donna con una cesta in mano]
forse la vita
è una corda con cui un uomo si appende dal ramo di un albero
forse la vita è un bambino che torna da scuola e…
Forse la vita è una sigaretta accesa, nella languida pausa fra due amplessi]
o un passante che passa stupito
e solleva il cappello
e – Buongiorno! – dice, con un sorriso senza senso a un altro passante.]
La vita forse è quel momento serrato
in cui il mio sguardo si annulla nelle pupille dei tuoi occhi,
presentendo che mi mescolerò
alla comprensione della luna, alla conquista del buio.
In una stanza grande quanto una solitudine
il mio cuore
grande quanto un amore
attende i pretesti semplici della sua felicità
e il delicato appassire dei fiori nel vaso
e l’alberello che hai piantato nel giardino di casa nostra
e la voce del canarino
che canta nello spazio di una finestra.
Ecco,
questa è la mia parte
questa è la mia parte
la mia parte
è un cielo che una tenda scosta da me
la mia parte è venir giù da gradini abbandonati
e raggiungere una cosa appassita d’altri tempi
la mia parte è una passeggiata malinconica nel giardino della memoria.]
E morire nella tristezza di una voce che mi dice
– Amo, amo le tue mani –
Seminerò le mie mani in giardino
diverrò verde, lo so, lo so,
lo so,
e le rondini deporranno le uova
nelle pieghe delle mie dita sporche d’inchiostro.
Incollerò alle mie unghie due petali di dalia,
e indosserò i due rossi orecchini
di due rosse ciliege gemelle.
E c’è una strada dove i ragazzi che mi amavano
sono ancora lì
con i loro capelli spettinati e i colli sottili e le gambe magre,
pensano ancora al sorriso innocente di quella ragazza
che una sera il vento portò via con sé.
C’è una strada che il mio cuore
ha rubato ai quartieri dell’infanzia.
Il viaggio di una sagoma lungo la linea del tempo
fecondare con una sagoma la sterile linea del tempo,
la sagoma conscia di un’immagine
che poi ritorna
da una festa nello specchio.
Ed è così che qualcuno muore
e qualcuno resta.
Nessun pescatore raccoglierà mai la perla dall’esile ruscello che sfocia in un fosso.
Conosco una piccola triste fata
che vive nell’oceano
e suona il suo cuore in un flauto di legno,
piano piano,
piccola triste fata,
che a notte muori con un bacio
e all’alba, con un bacio,
tornerai al mondo.
Forugh Farrokhzad, La strage dei fiori. Cura, introduzione, traduzione e note di Domenico Ingenito, Napoli, Edizioni Orientexpress, “Le Ellissi” 2007.
Di Luca Fortis
Giornalista professionista, laureato in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali alla Cattolica di Milano. Un pizzico di sangue iraniano e una grande passione per l’Africa e il Medioriente. Specializzato in reportage dal Medio Oriente e dal Mediterraneo, dal 2017 vive a Napoli dove si occupa di cultura e quartieri popolari e periferici.