Un banco di una scuola, gli anni cinquanta. Due compagni, due giovani uomini ripassano la lezione di storia: le grandi scoperte geografiche di Colombo e Magellano. E un sentimento – tra i due – che nasce, cresce. Profondo, taciuto. Il viaggio dei due grandi esploratori si confonde con la loro esplorazione che diviene una scoperta inattesa, incontenibile che nasce trai banchi di scuola e prosegue oltre l’adolescenza, attraversando la maturità e la vecchiaia dei protagonisti. Le scoperte geografiche è la storia di un sentimento forse mancato, ma assoluto che racconta l’amore omosessuale ma universale, che come ogni altro amore cerca una terraferma su cui approdare o una meta possibile. Al Teatro Brancaccino di Roma dal 7 al 10 aprile debutta in versione completa il testo inedito di Marco Morana, per la regia di Virginia Franchi. In scena ci sono Michele Balducci e Daniele Gattano, accompagnati dall’installazione luminosa e dalle sonorità di Fabio Di Salvo del collettivo artistico Quiet Ensemble.
L’evento è promosso e patrocinato dal Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli, Amigdala, FACE Magazine, Gay Center, Dgp Digayproject.

Lescoperte ph. Manuela Giusto 1 (1)

L’INTERVISTA | MARCO MORANA – VIRGINIA FRANCHI
A pochi giorni dal debutto, abbiamo incontrato l’autore e la regista de Le scoperte geografiche. Ecco la nostra intervista a Marco Morana e Virginia Franchi.

“Le scoperte geografiche” è un viaggio alla scoperta di un amore mancato. Se vi chiedessi pochi aggettivi per descriverlo?
M: I due protagonisti vivono un senso di “mancanza” e di “incompiutezza” perché non possono o non riescono a sperimentare la vita di coppia, ma l’amore mancato non esiste. O è amore o non lo è.
V: Infatti, provando a trovare degli aggettivi, direi “vitale”, perché quando l’amore tra i due protagonisti si manifesta, genera due nuove identità, i due studenti si trasformano in Ferdi e Crì, prendendo in prestito i nomi dei due navigatori che stanno studiando. Queste due nuove individualità non possono fare a meno di cercarsi e fondersi, perdersi e cercarsi di nuovo nel corso del tempo, nonostante non riescano mai a prendersi veramente. Raccontiamo un amore detonante, incontenibile, ma soprattutto inevitabile.

Il testo tratta la tematica dell’identità. Quanto è stato difficile affrontarlo in un momento storico come quello che stiamo vivendo attraversato da conflitti, contrasti e ancora così tanto odio verso l’altro, verso le minoranze, le forme differenti di amore?
V: La nostra società, diciamolo, non ha più bisogno di essere scioccata dal tema dell’omosessualità. Non che si siano raggiunti risultati soddisfacenti sul tema dei diritti civili, ma il tempo delle provocazioni è finito, oggi risultano un po’ fini a se stesse, vuote. Per questo non proponiamo uno spettacolo “militante” in senso stretto. Il nostro intento è di raccontare un amore tra due uomini in cui tutti possano identificarsi, a prescindere dal singolo orientamento sessuale, e secondo noi questo proposito ha un valore politico più attuale e più pregnante rispetto al mondo di oggi.
M: Anche se non è il tema principale, questo testo si interroga sul concetto di identità. Uno dei protagonisti, Crì, si chiede per tutta la vita cosa sia e in quale definizione possa collocarsi come individuo. Non vorrei svelare nulla, ma la conclusione a cui arriva alla fine è suonata falsa ad alcuni omosessuali che hanno letto il copione. La cosa non mi ha stupito, ma continuo a chiedermi perché. Non credo si tratti di odio, ma piuttosto di uno scetticismo nei confronti di qualcosa di poco rassicurante, che secondo me, con le dovute proporzioni, sta alla base di qualsiasi forma di intolleranza. Il problema è che consideriamo una definizione come qualcosa di chiuso, di rigido. Invece esistono le definizioni e poi esistono gli esseri umani, che hanno il privilegio di declinare una definizione in maniera personale. La definizione non è altro che uno spettro entro cui ognuno di noi può collocarsi più o meno per approssimazione. So che questo può non sembrare rassicurante, ma l’umanità non lo è, nemmeno il mondo in cui viviamo lo è. E comunque io lo trovo bellissimo. Noi abbiamo il dovere di chiederci quale definizione ci appartenga di più almeno fino a quando non sentiamo di essere felici, risolti con questa questione. Poco importa in quale sfumatura di questo spetto abbiamo trovato la felicità, se all’interno di una omo o eterosessualità totale, parziale, eccetera.

1

L’Italia è un paese ancora omofobo?
M: Sì, e lo dimostrano il recente dibattito sulle unioni di fatto e la conclusione a cui si è arrivati. Capisco che per molti omosessuali il famoso ddl Cirinnà possa essere un risultato insperato, nella pratica avrebbero più diritti di prima, ma la verità è che propone un matrimonio di serie B, che non è degno nemmeno di essere chiamato “matrimonio”. Io lo trovo abominevole, come se la politica avesse detto: “Vabbè, ormai i froci sono dappertutto, non possiamo far finta di niente, abbiamo troppe pressioni (vedi Unione Europea), ma che si ricordino queste strane creature, saranno sempre dei cittadini di seconda categoria”. Per non parlare del fatto che adesso, con questo contentino delle unioni civili, questioni importanti come l’adozione e lo stesso uso della parola “matrimonio” potrebbero restare congelate per anni.
V: Io sono convinta che l’uomo al di là della sua provenienza nasca con un naturale senso di solidarietà. Poi le istituzioni politiche e religiose e i mezzi di informazione non danno buoni esempi da seguire. Tutelano solo interessi e rendite di posizione che limitano appunto il senso di unione e di progresso che l’uomo porta con sé. E sono proprio questi limiti, queste barriere che costruiamo per proteggerci, che in realtà ci tengono prigionieri delle nostre paure, di ciò che non conosciamo e ci sembra diverso.

Lo spettacolo è finalista dell’XI edizione del Premio alle Arti Sceniche Dante Cappelletti. A Roma sarà un debutto. Che riscontri avete avuto negli altri teatri in cui lo avete già presentato?
M: Direi di sì, ma quello era uno solo un primo studio, adesso viene il bello.
V: Le scoperte geografiche propone una commistione tra prosa e poesia. Arrivare in finale al concorso Dante Cappelletti e presentare lo studio sul palcoscenico del Teatro Palladium ci ha dato l’opportunità di mettere alla prova la forza comunicativa di questo codice linguistico, che vuol essere evocativo ma allo stesso tempo narrativo.

3

Il testo è accompagnato dall’installazione luminosa e dalle sonorità di Fabio Di Salvo del collettivo artistico Quiet Ensemble. Di cosa si tratta? Qualche anticipazione?
V: Io e Fabio Di Salvo abbiamo già lavorato assieme in The first hour, un progetto internazionale con cui abbiamo avviato la nostra personale ricerca sull’uso drammaturgico della luce. In questa nuova sfida ci siamo confrontati anche con il suono, cercando di creare un sovra-mondo immateriale che si innesta in una messa in scena essenziale e fatta di pochi oggetti necessari.
M: I Quiet Ensemble per me rappresentano il meglio dell’arte contemporanea. Non fanno quell’arte ombelicale insopportabile, lavorano con le emozioni, e io sono onorato di poter collaborare con Fabio, che modella il suono e la luce in modo geniale eppure semplice. Per sapere di che si tratta, basta venire al Brancaccino dal 7 al 10 aprile..

Dal 7 al 10 aprile sarete quindi in scena al Brancaccino di Roma. Prossimi impegni e progetti futuri?
M: Intanto speriamo di raccontare queste Scoperte il più possibile, anche in altri teatri italiani. Poi abbiamo in cantiere uno spettacolo per giovani attori non professionisti, scritto apposta per loro. Il testo si interroga ancora una volta sull’amore, ma lo fa mettendo in campo l’asessualità, un argomento delicato e ancora poco conosciuto. è un progetto molto ambizioso, che possiamo portare avanti grazie alla sensibilità dei ragazzi che ne fanno parte e della Stap, la scuola di teatro che organizza il corso e che ha accolto la nostra proposta con entusiasmo.
V: Sì, con Marco condivido un forte interesse verso il modello del teens-drama anglosassone, un genere che ha acquisito grande dignità nei teatri inglesi e che coinvolge le scuole, dalle elementari ai licei. Il drammaturgo scrive testi pensati per i gruppi con cui lavora, raccontando storie inedite e affrontando temi contemporanei, e il regista orienta i giovani attori alla scoperta delle loro potenzialità espressive.

INFO
Le scoperte geografiche | 7 – 10 aprile 2016
Teatro Brancaccino
Via Merulana, 244, 00185 Roma
Prenotazioni: 06 80687231 ‎
Evento Facebook |  Fan page facebook