Tre anni fa, in occasione del quarantesimo anniversario della morte di Pier Paolo Pasolini, Ernest Pignon Ernest ha disegnato una pietà laica che ha incollato nei luoghi legati alla vita e alla morte del poeta: il centro di Roma, la spiaggia di Ostia, i vicoli di Matera, il cuore di Napoli e le Vele di Scampia. Un doppio ritratto in cui Pasolini porta nelle sue braccia il proprio corpo senza vita e interpella abitanti e passanti con sguardo severo: “Cosa avete fatto della mia morte?” Il collettivo Sikozel ha realizzato il documentario “Se torno” che segue il percorso di questa immagine, dalla sua genesi nell’atelier parigino di Pignon alla sua comparsa nel quotidiano delle città italiane. Così facendo, il film interroga la permanenza nell’immaginario collettivo del pensiero di Pasolini e testimonia le lacerazioni che la sua figura suscita ancora oggi, 43 anni dopo quella notte del 2 novembre 1975 quando fu ucciso su una spiaggia di Ostia.
Questa intervista nasce da una conversazione avuta con Ernest Pignon Ernest durante una cena di presentazione del documentario, a Napoli nella Vela Azzurra di Scampia.
Come si è avvicinato alla figura di Pasolini?
Mi sono avvicinato alla figura di Pasolini perché ha posto questioni importanti sul capitalismo. Domande che quarant’anni dopo la sua morte sono più vive che mai. Ho quindi, due anni fa, creato una pietà simile a quella di Michelangelo in cui i volti della Madonna e di Cristo sono entrambi quelli di Pasolini. Non è chiaro quello che la società ha davvero imparato dalla morte del grande intellettuale. L’opera voleva suscitare questa domanda.
Perché ha deciso di incollare la sua opera a Scampia?
Ho incollato la pietà in vari luoghi legati alla figura di Pasolini. A Ostia, a Napoli davanti a Santa Chiara dove aveva girato il Decameron. Cercavo però dei luoghi dove potessi incontrare il sottoproletariato di “Accattone” o “Mamma Roma” e nella capitale non li ho trovati. Li ho trovati invece a Scampia. Un quartiere moderno e senza storia dove di colpo sono arrivate tante persone dalle campagne o da rioni terremotati nel 1980. Pasolini non vide questi luoghi, ma li avrebbe amati.
Come è stato accolto a Scampia?
L’incontro con Davide Cerullo e la sua associazione “L’ Albero delle Storie” è stato fondamentale. Lui ha fatto un percorso personale molto bello. Un tempo era uno degli spacciatori delle Vele, poi ha deciso di cambiare vita, anche grazie alle opere di Pasolini e del poeta francese Christian Bobin, artista che per altro è mio amico. Era la persona giusta per incominciare un percorso alle Vele di Scampia su Pasolini.
Perché ha scelto di lavorare così tante volte a Napoli?
Napoli ha un mix incredibile di storia greca, romana e cristiana. Una storia che fa capolino perfino a Scampia con i suoi palazzoni senza radici storiche. Due giorni fa ne ho avuto conferma quando ho visto le persone che ritornavano nelle Vele dalla processione della Madonna Dell’Arco. Napoli ha una resistenza culturale profonda a ogni forma di globalizzazione o di sradicamento dalle proprie origini. Un fenomeno non facile da trovare negli altri paesi. Spero che resisterà anche al turismo di massa. Mi inquieta un po’ vedere i troppi graffiti senza senso sui monumenti del centro storico. La street art è diversa da una semplice scritta.
Quali sono le differenze?
La street art non deve mai vandalizzare. Le mie opere sono in carta e non rovinano mai i monumenti. Sono pensate sia per quanto riguarda il soggetto che le tempistiche. A casa ho più di novanta libri su Napoli. In città ho fatto quasi 300 opere. Ognuna ha un legame inscindibile con il muro su cui è nata. Per esempio quando ho parlato di morte le ho applicate sui muri il venerdì santo. Questo perché è il contesto che dà il perché di un’opera. Il mio lavoro è la reazione che provoca, non il disegno. Non è solamente arte. A volte è anche antropologia, sociologia o poesia. Un luogo anche bellissimo se uno ci passa tutti i giorni si banalizza. Il mio lavoro tenta di farlo riemergere.
Grazie a quali artisti ha conosciuto Napoli prima di venirci?
I due artisti che sento più legati a Napoli sono Caravaggio e Pasolini entrambi sono carnali e legati alla vita, alla morte e al sacro. In fondo non c’è nulla di più sacro che la vita e quindi del popolo con le sue storie.
Com’è nato il progetto del documentario del collettivo Sikozel?
Quando ho iniziato il progetto su Pasolini il collettivo Sikozel, che aveva già fatto un documentario sugli anni di lavoro che ho fatto a Napoli, mi chiese di poter farne un altro su questa nuova serie. Ho acconsentito con grande entusiasmo.
Di Luca Fortis
Giornalista professionista, laureato in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali alla Cattolica di Milano. Un pizzico di sangue iraniano e una grande passione per l’Africa e il Medioriente. Specializzato in reportage dal Medio Oriente e dal Mediterraneo, dal 2017 vive a Napoli dove si occupa di cultura e quartieri popolari e periferici.