Due padri, due bambini: una famiglia come tante nella realtà, ma non riconosciuta dalle norme italiane. La nostra intervista all’autore di “Lo capisce anche un bambino. Storia di una famiglia inconcepibile”, edito da Feltrinelli.
Mattia e Nicola sono due persone che si amano, due papà che hanno scelto di concepire i propri figli con il supporto della gestazione per altri, andando contro quelle leggi che vorrebbero stabilire la genitorialità come un puro risultato biologico, senza riconoscere alla famiglia il suo ruolo primario di luogo d’amore, accudimento e responsabilità rispetto alla vita.
Attraverso il racconto della propria quotidianità, nel suo primo libro “Lo capisce anche un bambino. Storia di una famiglia inconcepibile”, pubblicato ad aprile da Feltrinelli, Mattia Zecca ci parla di come la sua vita si sia riempita di meraviglia, grazie a un percorso di accettazione e realizzazione di sé, che lo ha portato dalla Puglia a Roma e poi in molti altri mondi. Una storia d’amore e di formazione, in cui le vite di famiglie diverse si intrecciano per costruire legami solidi alla ricerca della felicità, quella semplice e che non necessita altro che essere riconosciuta anche dalle istituzioni.
Le pagine del libro scorrono veloci, ci emozioniamo insieme a papà Nicola e a papà Mattia, che con una scrittura delicata ci accompagna nel suo mondo di figlio e fratello, prima ancora che genitore, rivendicando il diritto costituzionale di essere visto per ciò che è senza essere messo in discussione da una giustizia troppe volte cieca di fronte a una famiglia che diventa invisibile quando preferirebbe, semmai, rimanere trasparente.
Abbiamo intervistato Mattia Zecca, che con il tono gentile che lo contraddistingue ci ha parlato dei sui figli, Lorenzo e Martino; delle difficoltà che, insieme a papà Nicola, ha affrontato durante gli incontri con le istituzioni che avrebbero dovuto stabilire la loro genitorialità, in quanto strumento di garanzia della tutela dei minori e del ruolo che una famiglia omoaffettiva ricopre, al giorno d’oggi, nella società italiana.
“Non c’è nulla di sbagliato in te, ma il terribile sospetto che sbagliato possa esserlo per gli altri.” Nel libro ricorre spesso il tema dell’accettazione di sé in contrapposizione con il modo in cui gli altri ci vedono; quante volte le tue scelte si sono dovute scontrare con questa necessità che ci spinge a cercare sempre l’approvazione degli altri?
È accaduto molte volte, purtroppo, ma credo sia inevitabile: credo faccia parte del processo di formazione di ciascuno di noi. Del resto, sin dai primissimi tempi di vita, il bambino scopre di esistere proprio perché si percepisce visto dagli altri, impara a declinare le proprie emozioni in funzione di quello che gli viene restituito dallo sguardo delle persone che ha intorno a sé, i genitori prima di tutto. So di esistere, proprio perché gli altri mi vedono. E tuttavia non voglio solo esistere: voglio anche essere amato. Si diventa grandi, forse, quando si scopre di essere meritevoli d’amore già per quello che si è, non per quello che gli altri vorrebbero che fossimo.
Oggi che hai fatto delle scelte ben precise, in una direzione non conforme agli stereotipi che la società impone, rassicurare gli altri fa ancora parte della tua vocazione? Sei riuscito ad addomesticare le tue paure?
Ho imparato, col tempo e con un complesso lavoro interiore, tuttora in corso, che posso preservare la mia vocazione a rassicurare gli altri, senza eccedere nell’insidia di improntare la mia vita allo scopo di non dare mai fastidio a nessuno. Esisto, desidero, mi esprimo. E se ciò dovesse non essere del tutto rassicurante per gli altri, pazienza: non spetta sempre a me farlo. Sono riuscito ad addomesticare molte paure, anche in questo senso: alcune invece resistono ai miei tentativi di trasformarle in altro, e forse è giusto così. Ci teniamo vivi anche grazie a quelle.
Protagonista principale del libro è la famiglia costruita da papà Nicola e da papà Mattia; il racconto ci mostra, attraverso le storie delle coppie che gravitano intorno a voi, quante possono essere le evoluzioni di un concetto che molti in Italia vorrebbero univoco e basato su regole fisse. Ritieni quello del riconoscimento della vostra famiglia un problema più culturale o istituzionale?
La cultura ha il forte potere di condizionare le persone, ma le persone hanno un potere ancora più forte, che è quello di condizionare la cultura. La mia famiglia si discosta dal modello culturale maschilista e patriarcale che ancora oggi influenza una certa visione del mondo, eppure credo che nessuna delle persone che ha intercettato la mia famiglia lungo il suo percorso abbia mai mancato di riconoscerla per ciò che naturalmente è: una famiglia. Le istituzioni, invece, scontano la colpa di un legislatore che si ostina a difendere quel pericoloso – e ingiustificabile – scollamento tra diritto e natura.
“Lo capisce anche un bambino”. Cos’è che non c’è bisogno di spiegare a Lorenzo e a Martino? Cosa è davvero una famiglia?
I bimbi comprendono la realtà con una immediatezza che, purtroppo, crescendo rischiamo di perdere. A Lorenzo e Martino, ad esempio, non c’è bisogno di spiegare che il mondo è definito (e impreziosito) dalla diversità di ciò che lo abita, perché lo vedono già. Vedono ad esempio che il mondo è pieno di famiglie tutte diverse e però accomunate da un unico segno di riconoscimento: le persone che la compongono si amano e si prendono cura l’una dell’altra.
Scorrendo le pagine del libro colpiscono le frasi in corsivo in cui citi, correggimi se sbaglio, parti del testo normativo e dei colloqui che avete dovuto affrontare affinché i vostri figli possano legalmente avere due genitori. Attraverso il racconto delicato della vostra quotidianità, ne fai notare l’assurdità. Quanto è stato complesso subire e portare avanti l’iter giuridico per ottenere il riconoscimento formale della vostra genitorialità?
È stata un’esperienza dolorosa, faticosa e umiliante: chiedere il riconoscimento di quello che già – con piena evidenza e profonda determinazione – si è, scoprire di non essere visti né ascoltati, scontrarsi con un muro che si ostina a coprire la visuale della realtà. Con la mia scrittura, mi premeva raccontare questo disorientamento, questa frattura ormai inaccettabile che si crea proprio mentre si chiede all’istituzione non il riconoscimento di un diritto in capo al genitore, ma l’attribuzione di una responsabilità, a esclusiva tutela del bambino.
Credi che il benessere del minore sia davvero al centro di queste indagini? Una coppia etero, in una situazione analoga, si scontra con le stesse problematiche?
L’interesse preminente del minore è il primo (e, talvolta, anche unico) criterio che deve guidare ogni procedura volta a garantire una migliore tutela dei bimbi. Eppure, ho spesso l’impressione che non sia sempre così. Capita, ad esempio, in molte vicende di separazione coniugale, in coppie eteroaffettive, dove le decisioni sull’affidamento dei bambini sembrano influenzate più da una cultura profondamente maschilista, che da un effettivo perseguimento della tutela dei minori.
A Lorenzo avete raccontato che la nascita di Martino è dovuta a “una magia straordinaria e potente”. Ci sono due persone che una magia l’hanno fatta davvero per permettervi di costruire la vostra famiglia: Ashleigh e Danielle. In Italia le donne che scelgono di portare avanti una gestazione per altri subiscono pesanti accuse, mentre, da ciò che ci narri, negli Usa questa scelta è vissuta con naturalezza, semplicemente come un atto di altruismo. Ci racconti ciò che la vostra esperienza ti ha insegnato in tal senso?
La mia esperienza mi ha insegnato, sicuramente, ad ascoltare le storie vere, mettendo da parte certe narrazioni ideologiche che non sempre (quasi mai, forse) forniscono una rappresentazione corretta di quello che accade in realtà. In Paesi come gli Stati Uniti o il Canada, la gestazione per altri è puntualmente disciplinata in modo che tutte le persone coinvolte vi accedano scongiurando il rischio di ogni forma, anche minima, di abuso, soprattutto ai danni delle donne. Per noi, questa era una condizione imprescindibile e, in effetti, ha fatto sì che si creassero legami fortissimi, che tuttora perdurano, con Danielle, l’amica che ci ha donato entrambi gli ovuli da cui sono nati i nostri bimbi, con Ashleigh, l’amica che ha portato avanti entrambe le gravidanze per noi, e con le loro rispettive famiglie. Il modo in cui Lorenzo e Martino sono venuti al mondo, concepiti dall’amore mio e di Nicola con l’aiuto di persone straordinarie, è stata un’esperienza di eccezionale altruismo e fortissima autodeterminazione femminile, ripetuti atti d’amore che hanno legato tra loro famiglie consapevoli, fortunate e generose ad un’altra famiglia consapevole, fortunata e immensamente riconoscente: la nostra.
Che reazione hanno gli altri genitori, ad esempio quelli dei compagni di scuola dei vostri figli, verso le famiglie arcobaleno? Vi siete mai sentiti in difficoltà nei contesti sociali in cui vi confrontate con famiglie più tradizionali?
L’incontro quotidiano della mia famiglia con le altre è stato sempre molto positivo, fluido, di piena riconoscenza tra simili: talvolta ho percepito nello sguardo altrui qualche legittima curiosità e un po’ di immeritata ammirazione. La vita sociale e relazionale della mia famiglia non ha mai subito la pur minima difficoltà, per fortuna.
L’approvazione del ddl Zan è una misura che vi farebbe sentire più tutelati? Avresti proposte da avanzare su quali sarebbero i provvedimenti necessari a garantire maggiore stabilità alle famiglie come la vostra e ai figli nati al loro interno?
L’approvazione di una legge che intende punire più gravemente atti di violenza motivati da istanze discriminatorie (come già avviene, ad esempio, sul piano del razzismo), sicuramente restituirebbe maggiore dignità e protezione a persone o famiglie che, solo in ragione del proprio modo di essere, sono esposte al rischio di tali forme di aggressione.
Il riconoscimento pieno di famiglie omoaffettive, invece, necessiterebbe di un intervento del legislatore che, finalmente, garantisca a bimbi come Lorenzo e Martino le stesse tutele di bimbi nati in famiglie eteroaffettive, eliminando il paradosso per cui una genitorialità solo biologica, che talvolta può essere anche accidentale, abbia maggiore peso della genitorialità consapevole e intenzionale.
Tu, Mattia, hai origini pugliesi, mentre la famiglia di Nicola vive a Cassino: ci sono differenze nella reazione che hanno gli altri quando siete in vacanza in contesti dove è meno facile che a Roma incontrare famiglie arcobaleno?
No, in nessun contesto sociale, a nessuna latitudine abbiamo mai incontrato difficoltà: la nostra famiglia esiste, la vedono tutti, i nostri bimbi sono felici, sereni, vivaci, e anche questo lo vedono tutti.
Quando parli della nascita di tua sorella Federica e del rapporto che hai con lei è impossibile non sentire la forza del vostro legame. C’è un livello di complicità che si crea solo con la persona con cui siamo destinati a vivere fin dalla nascita, una conoscenza profonda e senza pretese. Malgrado Martino fosse per Lorenzo suo fratello ancor prima di nascere, non sono considerati tali dalla legge italiana. Esiste un modo per legalizzare il rapporto tra i vostri figli?
Solo di recente, alcuni magistrati molto virtuosi hanno proposto soluzioni interpretative che, riconoscendo il legame di genitorialità con entrambi i padri o entrambe le madri, hanno riconosciuto anche il legame familiare tra fratelli che – lo so, sembra assurdo – pur condividendo gli stessi genitori e, in parte (per quello che conta), lo stesso corredo cromosomico, non sono tali per la legge. Tuttavia, è il legislatore che deve intervenire a sanare questa situazione paradossale per cui non si vuole riconoscere ciò che già esiste, solo in ragione di posizioni meramente ideologiche.
Un’ultima domanda, senza spoiler per chi ancora deve leggere il libro: anche Martino ha le sue Barbie?
Niente Barbie, sia Martino che Lorenzo chiedono solo macchinine e supereroi. E poi amano il calcio, ma proveremo a farcene una ragione. E li accetteremo comunque.
Di Teresa Lamanna