Il 9 maggio del 1978, mentre l’Italia è sotto choc per il ritrovamento a Roma del cadavere di Aldo Moro, in un piccolo paesino della Sicilia, Cinisi a 30 km da Palermo, la mafia uccide con una violenta esplosione Giuseppe Impastato, dilaniandone il corpo. Ha 30 anni, è un militante della sinistra extraparlamentare. Attraverso i microfoni di una radio libera, Radio Aut, denuncia la mafia, i suoi traffici illeciti e le collusioni con la politica. A far uccidere Impastato è il boss Gaetano Badalamenti ma per molti anni la stampa, le forze dell’ordine e la magistratura parlano di un’azione terroristica. Solo la determinazione della madre di Peppino, Felicia, e del fratello fanno emergere la matrice mafiosa dell’omicidio. Nel 1994 il Centro di documentazione dedicato a Peppino Impastato presenta la richiesta di riapertura del caso, accompagnata da una petizione popolare. Cento passi separano, in paese, la casa degli Impastato da quella del boss, come ricorda il titolo del film di Marco Tullio Giordana del 2000 che ha fatto conoscere al grande pubblico, attraverso il volto di Luigi Lo Cascio, la figura di Peppino Impastato. L’11 aprile 2002 Gaetano Badalamenti viene condannato all’ergastolo per essere il mandante di quell’omicidio.
Il pentito di mafia Salvatore Palazzolo, braccio destro del boss, e Badalamenti muoiono in carcere.

Ciò che resta, quaranta anni dopo, sono cinque inchieste della magistratura, una della commissione Antimafia, due condanne in primo grado per boss di Cosa nostra e altrettante richieste d’archiviare le indagini su quattro carabinieri. Ma restano tuttavia irrisolti alcuni misteri, come la relazione dell’Antimafia che parla di “patti” tra mafiosi e pezzi dello Stato: apparati delle Istituzioni che hanno coperto mafiosi e insabbiato la morte di Peppino. Gli investigatori la chiamano “convergenza di interessi” e quelli sulla fine di Impastato forse non saranno mai resi noti del tutto.

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