La Città Eterna con i suoi immensi stimoli, l’archeologia, le rovine moderne, tra sotterranei e spazi abbandonati. Roma è la protagonista di Eterno, mostra personale degli artisti Lek & Sowat. Dopo la loro residenza all’Accademia di Francia Villa Medici durante la stagione 2015-2016, Wunderkammern ospita – dal 7 ottobre al 18 novembre – le opere di del duo francese composto da Frédéric Malek (1971) e Mathieu Kendrick (1978). Gli artisti lavorano insieme dal 2010. La loro ricerca è legata alla disciplina detta “Urbex”, o “Exploration Urbaine”, attraverso la quale esplorano la città. Lek & Sowat vanno oltre i limiti dei graffiti tradizionali, le loro sperimentazioni in situ riuniscono video, astrazioni architettoniche, installazioni e archeologia. “Eterno” racconta il legame tra gli artisti e Roma, città che ben conoscono e tanto amano.
Noi abbiamo incontrato i protagonisti della mostra di cui FACE Magazine.it è tra i media partner.
L’intervista | Lek & Sowat
Quando è nata la vostra passione per l’arte?
Quando abbiamo scoperto i Graffiti. Quelle prime notti da adolescenti passate a fare bombing mentre esploravamo la città ci ha infiammato i cuori. Quella è stata la scintilla della nostra passione per l’arte, anche se probabilmente allora non l’avremmo mai ammesso. Lek ha iniziato ad andare in giro per le strade di Parigi con la bomboletta agli inizi degli anni Novanta, mentre io vivevo tra il sud della Francia e la California. Per anni i graffiti sono stati l’unica forma d’arte della quale ci importava; molti dei nostri amici più stretti erano writers. Le cose sono iniziate a cambiare quando ci siamo conosciuti nel 2010. In un certo senso questo incontro ci ha trasformati. Noi veniamo da due stili abbastanza diversi di graffiti, Lek fondamentalmente più astratto, io più calligrafico. Lavorare insieme ha generato nuove idee, ci ha aperto nuove prospettive. Abbiamo iniziato a vedere le connessioni tra quello che facevamo e altri campi artistici come l’architettura, la land art, la fotografia, il cinema, la pittura moderna e pratiche più contemporanee e concettuali. Così abbiamo iniziato a spostarci dal fare graffiti al mondo delle arti…
“Eterno” racconta il vostro legame con Roma. Qual è il vostro rapporto con la Capitale?
Roma è come una seconda casa per noi. Siamo venuti per la prima volta nel 2015 per dipingere un palazzo a Tor Marancia per il progetto “Big City Life” ed è stato amore a prima vista. La lingua, il cibo, le donne, l’architettura, gli antichi Graffiti…ci ha colpito tutto. Poi abbiamo avuto l’onore di essere stati scelti come borsisti dell’Accademia francese a Roma, la più antica e prestigiosa residenza d’artista della Francia. Per un anno abbiamo vissuto e lavorato a Villa Medici, a pochi metri dalla scalinata di piazza di Spagna e dal parco di Villa Borghese. Tutto ciò ha reso il nostro legame con la città eterna decisamente più profondo. Se le nostre mogli e le nostre famiglie non fossero state a Parigi, probabilmente saremmo rimasti di più qui. Artisticamente parlando, la città ci ha fatto porre domande sull’essenza della nostra pratica artistica/tecnica. Dopo aver passato anni a fare arte fuori, in siti urbani o industriali, questa città ci ha permesso di iniziare a sperimentare cose dentro uno studio e, cosa più importante, a inserire il nostro lavoro in ambientazioni antiche. In entrambi i casi, siamo stati costretti ad iniziare di nuovo dal graffito, per adattare i nostri stili e le nostre tecniche a questi nuovi contesti, come quando siamo andati ad Atri per lavorare dentro un chiostro del XIII sec. per la mostra “Still lives”.
Cosa vedremo negli spazi di Wunderkammern?
Frammenti, ricordi e artefatti di questo anno particolare passato in Italia. L’Accademia francese ci ha dato come spazio per lavorare lo studio di Jean Auguste Dominique Ingres, un luogo incredibile con finestre che dominano la città… Quello è stato il posto in cui abbiamo davvero iniziato a far passare la nostra arte dall’esterno all’interno, da installazioni in situ e murales a opere fatte in studio. Abbiamo passato gran parte dell’anno chiusi in studio, dipingendo tele a quattro mani che esporremo per la prima volta a WK. Abbiamo anche portato strutture metalliche create usando pezzi di un muro distrutto a Villa Medici. Giuseppe Ottavianelli, il nostro curatore per questa mostra, li ha scoperti l’anno scorso durante una mostra all’Accademia. Gli sono piaciute così tanto che ci ha spinti a scolpirne altre per “Eterno”. Per finire, abbiamo stampato specificamente per la mostra un piccolo libro con le grafiche di Formaboom. E’ un leporello, un set di 24 cartoline che mostra alcune delle cose che abbiamo fatto in Italia così come quelle che ci hanno ispirato, come gli antichi graffiti dei musei Vaticani o quelli più moderni sulle banchine del Tevere. Speriamo che alle persone piacciano.
Con Mausolée avete realizzato una residenza artistica in un centro commerciale abbandonato di Parigi. Che esperienza è stata?
Intensa, illegale, fredda e un po’ spaventosa. Nel 2010 Lek ha trovato un supermercato abbandonato a nord di Parigi. 40.000 metri quadri di muri bianchi, con tutti i tipi di spazi architettonici, volumi e strutture che potessimo desiderare. Oltre che per le sue dimensioni, il luogo era affascinante perché era stato occupato per anni da molta gente diversa. Purtroppo una notte sono stati tutti inseguiti dalla polizia e hanno lasciato lì tutte le cose che possedevano. Tutto era ancora lì nella polvere quando abbiamo messo piede per la prima volta nel palazzo: cibo, letti, giocattoli, vestiti, borse, lettere, diari… sembrava di camminare in una capsula del tempo. Per anni siamo andati lì a dipingere quotidianamente, portando altri artisti a lavorare con noi, su una composizione astratta a più mani. Writers francesi dalla prima all’ultima generazione. Gente come JayOne da BBC, O’clock, DMV’s e così via… volevamo scrivere una lettera d’amore alla nostra cultura, mettere in evidenza alcuni artisti sperimentali che credevamo fossero ignorati dall’ultima tendenza della Street Art. Alla fine abbiamo realizzato un film, un libro e una mostra attorno a questo progetto. Jean de Loisy, il direttore del Palais de Tokyo, aveva sentito del progetto e ci ha invitati qualche mese dopo a dipingere due murales con John Giorno. Questo è stato l’inizio di tutta una nuova avventura.
Al Palais de Tokyo, avete invaso gli spazi di un museo solitamente chiuso al pubblico. Non solo street art come è tradizionalmente intesa, dunque. Cosa significa per voi andare oltre i graffiti tradizionali dell’arte urbana e cosa vuol dire per voi sperimentare?
La sperimentazione è la chiave. Per noi il viaggio è importante tanto quanto la destinazione. In questo senso, il Palais de Tokyo ci ha dato l’opportunità di sperimentare con molti e differenti artisti, idee e tecniche. La nostra motivazione principale, a quel tempo, era la domanda sulla presenza dei graffiti all’interno di un’istituzione, volevamo trovare strade creative che provassero che entrambe le cose potevano coesistere. Per fare questo abbiamo messo la mostra di gruppo su un’uscita di emergenza, come un cavallo di Troia, una scusa per essere nel museo 24h su 24, 7 giorni su 7. Abbiamo esplorato il posto da cima a fondo e siamo usciti fuori con l’idea di “Vandalismo invisibile”. La nostra intuizione era di creare così un’arte nascosta o distruttiva per tutto il palazzo, lontano dalle zone che ci erano state assegnate per la mostra e più specificatamente in luoghi dove ci era stato chiesto di non andare. Così abbiamo trovato la porta che conduce sotto il Palais de Tokyo, dove abbiamo invitato Mode2 e Futura a lavorare con noi, senza dare nell’occhio, qualche anno dopo. Di sicuro una delle cose più difficili che abbiamo mai fatto. Alla fine siamo riusciti a girare con discrezione il terzo ed ultimo film durante i due anni che abbiamo passato lì, “Tracce Dirette”, con altri 22 writers. Per questo particolare progetto ci interessava mostrare come la distruzione è sempre stata un punto di forza per l’arte dei graffiti… Siamo stati fortunati a vedere questo film e la lavagna sul quale è stato girato nella collezione permanente del Centre Pompidou qualche anno dopo.
L’arte urbana può cambiare – o almeno migliorare – la vita?
Come dice Banksy: se i graffiti cambiassero qualcosa, sarebbe illegale.
Da cosa traete ispirazione quando realizzate un’opera?
Ci siamo visti come jazzisti. Anche se c’è una struttura – o meglio una melodia – per quello che facciamo, l’improvvisazione ha sempre occupato un grande spazio nel nostro processo creativo. Cerchiamo sempre di adattarci ai luoghi in cui lavoriamo, il che significa che l’esplorazione è diventata sempre più importante per noi. Le architetture, i muri e gli spazi dove dipingiamo hanno sempre un grande impatto sui nostri affreschi e le nostre installazioni. La stessa cosa succede con le lettere. Tutti i nostri viaggi recenti hanno sfidato/messo alla prova la nostra visione del writing. Se viaggiamo in paesi che non usano l’alfabeto romano, come in India, in Asia in Magreb o nell’est, tendiamo ad incorporare parti dello stile di scrittura locale per le nostre lettere destrutturate. Tutti questi elementi diversi, insieme alle persone che conosciamo, la musica che ascoltiamo e il cibo che mangiamo sono la nostra ispirazione. Per esempio mentre abbiamo vissuto a Roma per un anno, abbiamo iniziato ad incorporare l’acqua nel nostro processo creativo, in parte distruggendo le nostre lettere e i nostri motivi, mentre le dipingevamo. In aggiunta, un accenno al programma di rimozione dei graffiti, abbiamo cercato di creare vagamente un finto marmo, imitando le migliaia di marmi raffinati che abbiamo scoperto nelle chiese della città eterna…
I progetti futuri di Lek & Sowat?
Di uscire fuori dalla nostra comfort zone. Ripetutamente.
Info
Eterno | Lek &Sowat
vernissage sabato 7 ottobre 2017, 18.30 – 21.30
a cura di Giuseppe Ottavianelli
testo critico di Benedetta Marcelli
date 7 ottobre – 18 novembre 2017
Wunderkammern Roma
Via Gabrio Serbelloni 124, Roma
www.wunderkammern.net
info tel: +39 0645435662
ingresso libero | orario di apertura: martedì-sabato, 16-19.
Per appuntamenti chiamare: +39 3498112973