La Light Art illumina la capitale saudita con il festival di arte contemporanea “Noor Riyadh” dedicato alla luce. In programma, 33 grandi installazioni disseminate per la città e una mostra storica, aperta fino al 12 giugno.
Noor Riyadh è il nuovo festival annuale dedicato alla luce lanciato dalla capitale saudita Riad. Il festival è partito nel mese di marzo e ha accolto oltre 120.000 visitatori solo nella prima settimana di apertura, nel pieno rispetto delle norme anti-Covid. Il tema di questa edizione 2021, Under One Sky, allude all’impulso umano universale a “riunirsi intorno alla luce, a guardare le fiamme di un falò e osservare le stelle”. Il programma dell’edizione di lancio comprende 33 installazioni pubbliche su larga scala di 60 artisti locali e internazionali, che hanno illuminato tutta Riad fino al 3 aprile, e una mostra storica di arte ispirata alla luce, visitabile fino al 12 giugno, che mette in dialogo artisti dagli anni ’60 fino a oggi, intitolata Light Upon Light: Light Art since the 1960s.
Il festival è stato realizzato con la guida creativa di Marco Balich e la direzione artistica di Lida Castelli. I curatori sono stati Eiman Elgibreen insieme a Pam Toonen con la consulenza di Vincenzo de Bellis.
La mostra comprende trenta opere d’arte, suddivise in quattro sezioni: Perceiving Light, Experiencing Light, Projecting Light e Environmental Light. L’esposizione fa dialogare artisti affermati ed emergenti che esplorano la luce come mezzo. La mostra include installazioni, video e sculture. È curata da Susan Davidson, ex curatrice senior del Solomon R. Guggenheim Museum di New York e da Raneem Zaki Farsi, co-curatore di Desert X Al Ula, curatore, art advisor ed esperto di arte contemporanea saudita. Hanno partecipato all’organizzazione anche l’italo-inglese Katy Spurrell, come Artist and Curatorial Liaison Director, l’architetto Alex Zaske dello studio Daz di Napoli insieme a The Aimes, società con base a Dubai e Milano.
Perceiving Light unisce otto dei più riconosciuti professionisti della light art della metà del XX secolo, tra cui Ambiente spaziale a luce rossa (1967) di Lucio Fontana, Afrum (Pale Pink) (1967) di James Turrell, Untitled (To Sabine and Holger) di Dan Flavin (1966-1971) e Holes of Light (1973) di Nancy Holt. Dando alla luce forma, profondità e massa, gli artisti di questa sezione hanno manipolato la proprietà percettiva della luce a un livello che non era mai stato sperimentato nell’arte prima degli anni ’60.
In Experiencing Light, nove opere d’arte contemporanea esplorano la luce attraverso tecnologie avanzate e l’interazione umana. In questa sezione sono esposti Leo (George and Irmelin, 2019) di Urs Fischer, un rendering dell’attore e collezionista d’arte Leonardo Di Caprio in un doppio ritratto con sua madre e suo padre, un’opera di Rashed Al Shashai intitolata Searching for Darkness (2021), installazione di luce a spirale creata appositamente per la mostra, e l’opera Infinity Room – Brilliance of the Souls (2014) di Yayoi Kusama. Nella sezione Projecting Light si possono vedere opere come Antenna (2010) di Ahmed Mater, un’antenna televisiva al neon che rappresenta una metafora del desiderio dei giovani sauditi di espandere i propri orizzonti, Capturing Light di Maha Malluh (2010), una serie di fotogrammi di oggetti personali che possono essere visti come simboli emblematici e culturali dell’Arabia Saudita e Proportion of Light (2021) di Ahmad Angawi, commissionata per la mostra, opera che esplora l’origine e la funzione dei mangour, le grate tradizionali geometriche di legno che permettono di vedere dalle finestre, senza essere visti. L’artista crea una nuova versione dei mangour dove la luce diventa una fonte di trasmissione.
Environmental Light affronta tematiche ecologiche e il futuro del pianeta, considerando fattori come la responsabilità personale dei singoli individui per garantire un futuro sostenibile. Le sei opere in mostra includono Recurrent Anaximander (2019) di Rafael Lozano-Hemmer, un sole da 400.000 pixel che mostra l’attività turbolenta sulla superficie del sole, e Casino Al Riyadh di Abdullah Al-Othman (2021), un’insegna al neon creata per la mostra che si ispira ai pannelli luminosi, insegne e cartelloni pubblicitari che si trovano su edifici urbani moderni e antichi di Riad.
Nuove iniziative culturali come queste, commenta Raneem Zaki Farsi, co-curatore della mostra, “sono il risultato di anni di impegno da parte di entità private e governative per costruire un’infrastruttura artistica e culturale sostenibile in Arabia Saudita. Allontanandosi da una percepita irraggiungibilità, l’arte è stata democratizzata ed è ora un pilastro del Paese”. L’immenso sostegno del governo al settore, sostiene, “è stato determinante per la maggiore presenza di iniziative artistiche, che hanno dimostrato che era possibile aumentare la qualità complessiva della vita e promuovere un’economia creativa in tutto il Paese”.
Susan Davidson, ex Senior Curator del Guggenheim Museum di New York, sottolinea invece come si stiano gettando basi solide per poter fare nei prossimi anni molte nuove mostre di arte contemporanea in Arabia Saudita.
Katy Spurrell, Artist and Curatorial Liasion Director, mette in luce come molte delle professionalità che hanno lavorato alla mostra siano legate profondamente all’Italia, lei per prima. La mostra, puntualizza, è la prima di questa qualità fatta in Arabia Saudita. Per Spurrell, si è riuscito a creare un evento che è all’altezza delle migliori mostre fatte nei musei più importanti del mondo, risultato che non era per nulla scontato durante una pandemia. Vi sono stati, ci racconta, non pochi problemi legati sia al trasporto delle opere, che all’apertura stessa della mostra, che è visitabile a numero chiuso, solo su appuntamento e rispettando tutte le regole di prevenzione contro il covid19. La mostra si tiene all’interno del Conference Center del King Abdullah Financial District, racconta ancora Spurrell, che è stato completamente riadattato, costruendo da zero spazi espositivi, grazie a materiali prefabbricati. Un lavoro che “è stato fatto in poche settimane e che riesce a valorizzare ogni opera rispettando i migliori criteri espositivi”, puntualizza.
Spurrell mette in luce come quello che rende questa mostra davvero speciale sia “il dialogo tra gli artisti sauditi e quelli internazionali, avvenuto non solamente tra gli artisti viventi che hanno partecipato alla mostra, ma anche tra opere, soprattutto nel caso di grandi artisti internazionali ormai scomparsi. Non c’è un noi e loro – sottolinea Spurrell – il collegamento tra gli artisti europei e sauditi è stato davvero molto poetico. La luce è da sempre un tema che unisce – prosegue – lega le persone, anche nella cultura del deserto la luce è importante. L’idea di fare una mostra di arte con canoni espositivi classici, all’interno di un festival contemporaneo sparso in vari luoghi della città, è nata per dimostrare che si possono fare mostre di questo livello a Riad”.
“Non si poteva iniziare questo percorso – aggiunge – se non con Lucio Fontana, il primo che nel mondo dell’arte utilizzò la luce come medium, creando luci che tagliavano metaforicamente lo spazio. Una delle opere che ho trovato più poetiche – conclude Spurrell – è Diwans of the Unknown di Dana Awartani: l’artista proietta su tessuti di seta poesie scritte da donne arabe sconosciute, dall’epoca preislamica fino a quelle del dodicesimo secolo”.
Di Luca Fortis
Giornalista professionista, laureato in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali alla Cattolica di Milano. Un pizzico di sangue iraniano e una grande passione per l’Africa e il Medioriente. Specializzato in reportage dal Medio Oriente e dal Mediterraneo, dal 2017 vive a Napoli dove si occupa di cultura e quartieri popolari e periferici.