L’odore di Parigi è speciale, un misto di polvere, sudore, spezie, tabacco e nostalgie.
Il cielo si sveste dei colori cupi, si riveste di pioggia e desiderio.

Parigi in tarda primavera è carica di promesse.
Arrivarci è come essere colti di sorpresa dal bacio di un amante, o dal dolore sordo di un inaspettato congedo, si stringe sempre un po’ il cuore in questa città primaverile, con i passanti che sorridono alle loro mute, incomprensibili felicità.
6Però la città è cambiata.
Intanto, non è più governata dal sindaco storico Bertrand Delanoe, rispettato e apprezzato per tanti anni, in tutti i quartieri, da intellettuali socialisti a gente delle periferie più remote che hanno adorato le sue iniziative, da benestanti del Marais e da persone con grandi sofferenze sociali vissute sulla pelle ogni giorno, Delanoe è riuscito in una specie di miracolo. La sua vice, Anne Hidalgo, gli è subentrata e molti parigini l’hanno votata con la speranza che poco o nulla cambi.
Bella storia, quella del sindaco uscente, bella figura. Bertrand Delanoe ha governato con impegno e sobrietà, è stato capace di cogliere i bisogni veri della popolazione, di rivolgere attenzione costante allo spazio urbano pianificandolo in modo serio e civile, di valutare l’impatto ecologico, di non far mancare politiche di solidarietà significativa negli arrondissement più disagiati.
Se il partito socialista ha potuto gioire per questa vittoria in un momento difficile che ha visto una furibonda affermazione del partito di Marine Le Pen e della sua demagogia che parla alle pance e alle viscere della gente, strumentalizzando i malumori, a Parigi ha vinto la Hidalgo e la differenza l’ha fatta l’uomo (che adesso dice di essere stanco, che ha rifiutato di entrare nel governo, che continua ad essere schivo e perbene e ha dato davvero tanto a questa città. Tanto da essergli grati davvero).
Parigi adesso.
Parigi dopo monsieur Delanoe, con la crisi economica che morde certi strati della popolazione e li ferisce nella carne viva, è una città di pulsioni sotterranee, che spingono in varie direzioni
Dove porteranno non si può sapere
Si può andare a vedere, cercare bussole per capire.

2

(Foto, in alto: Kruisi, K74 / photocase.com)

.
Viaggio sul treno notte; non dormo perché la cuccetta mista è una scommessa ogni volta, qualcuno ascolta musica senza le cuffie, così subisco le sue nenie arabe così vedo tutto, vedo che si ferma alle frontiere e succede che arrestano alcuni viaggiatori coi documenti irregolari, vedo che qualcuno corre veloce per i vagoni, sento che cercano di scardinare la porta della toilette mentre sono dentro, ho preso questo treno per moltissimi anni e non era mai capitato nulla del genere, è pieno di egiziani, indiani, bengalesi, sono tutti agitati, hanno paura, provano a mimetizzarsi o a sfogare la loro rabbia in modo chiassoso e minaccioso, il treno notte diventa subito un treno di dolori, di fughe (sale un uomo a Vallorbe e si infila sotto la cuccetta di terra in uno scompartimento rannicchiato come un animale), un treno stracarico di speranze, di enormi valige, di bambini che piangono tanto con troppa fatica e poche prospettive, donne grosse, colorate ed esasperate, vite speranzose in transito. Per tutta la notte cerco di immaginarmi cosa mi aspetta all’arrivo, come mai arrivare a Parigi così è diventato avventuroso, e mi chiedo cosa potrà succedere dopo che sale la polizia svizzera e fa casino davvero, con ordini duri bussando a diverse cuccette, facendo scendere, perquisendo.
Una signora, al mattino si lamenta. Il lamento, in questi tempi di crisi è diventato un guscio dove ripararsi, un nodo di illusoria sicurezza.
Il capotreno, un francese pallido che sembra felice di lavorare su un treno come questo venduto come un treno con un certo charme perché collega Venise a Paris, si scusa per tante cose tutte insieme, troppe. Si scusa in generale, sorride, porta un’altra bottiglietta di acqua minerale come risarcimento modesto e dolce, gli sorrido anch’io.
Dice che a Parigi sarà tutto sistemato.
Chissà cosa, penso.
Ma si può dire e diciamolo, saremo arrivati, sarà per tutti un po’ casa
Verranno tutti controllati, aggiunge. Non è questo che voglio, non mi interessa. Osservo, questi passaggi, questi percorsi avventurosi, le migrazioni, la fatica di andare avanti, la ricerca di una terra promessa che non c’è. Per molti, egiziani, marocchini e bengalesi la Francia è un punto di arrivo, ma per altri è di passaggio, come l’Italia, dove è anche molto più facile fare i documenti.
Vedo dal finestrino la fisionomia della Gare de Lyon che si avvicina ed è come se arrivasse un abbraccio, l’antico ricordo di Francis, un amore brevissimo e storto come sono sempre stati i miei amori, almeno un po’ se no non mi andavano bene. E tutto scorre come uno slideshow.

5

.
In questa città ho lasciato parti di me, per tanto tempo, l’ho legata al mio reticolo venoso, ogni volta mi capita di sentirla sulla pelle e di cogliere piccoli fremiti addosso, tutto torna, certi scorci di cielo cupo, certe memorie di congedi dolorosi, la lingua ritorna, ad essere la lingua dei pensieri, tornano le giornate alla biblioteca del Pompidou quando ero sempre fra gli ultimi ad uscire, il mio camminare frenetico per giorni e giorni, le gambe stanche, l’ubriacatura di visi e di storie, tornano le case in prestito, le tane provvisorie.
Prima di arrivare, in Italia e durante il viaggio, quasi tutti mi hanno detto che la città è molto provata dalla crisi economica confermando le idee che mi ero fatta. Ma non erano francesi, fra i francesi è una gara a dire che non è poi così vero, non è poi così dura, che non è messa come “L’Italie”, che non c’è paragone.

Hanno sempre questa bella cosa i francesi, ci tengono al loro paese, vogliono fare bella figura e raccontarlo migliore, meno faticoso ed affannato come invece sembra, e lo sanno fare molto bene, si tratta di modificare un dettaglio dove possono, un particolare qua e là.

1IL DISAGIO ABITA GLI ANGOLI
La povertà che incontro è vera e tangibile. Si mimetizza di giorno, ma poi appare tutta.
Tanta e dolente.
Vado a portare la valigia nell’economicissimo hotel che ho scelto per questa immersione, sono vicino a Gare du Nord, il proprietario mi fa saluta come se avessi abitato da sempre nel suo hotel, racconta per dieci minuti del Maghreb, della zona da cui proviene lui, del cibo, delle sue nostalgie, della sua città, mi dice che è bella e magica.
Poi si ferma, mi sfiora una mano e aggiunge che me la vorrebbe far vedere.
Io dico che devo andare.
Che devo lavorare, che sono venuta per quello, che lavorerò molto.
Ma certo, vada pure.
Sorrido.
Il suo è come un benvenuto.
A Parigi non mancano mai queste sorprese.
Il tardo pomeriggio è carico di spleen. Cammino, decido di prendere una direzione e basta, di procedere comunque.
Cammino e cammino, senza fermarmi senza un attimo di pausa, senza prendere fiato, devo conoscere, scoprire, sentire la città come ho sempre fatto, sentirla bruciare, lasciarmi ustionare come se si trattasse di un appuntamento con un amante.
Il primo impatto negli esterni, negli spazi dei boulevard è intensissimo, i profumi, i cattivi odori, la polvere, l’odore dei corpi, dei vestiti logori, tutto è così forte, cammino ancora, lascio che mi arrivi addosso Parigi e il suo crepuscolo, non voglio sconti, o carezze. Il disagio abita gli angoli. Punti di incrocio, porzioni di muro abitate da ombre irriconoscibili, dagli stracci di senzatetto, mendicanti, postulanti, famiglie, molti più di quelli che ricordavo, appostati, in difesa, con gli sguardi simili a quelli di animali affamati.
Cammino, fotografo quando posso, non voglio eccedere, le foto disturbano.
La città che si snoda intorno al minuscolo hotel stamberga, mostra, man mano che viene la sera, un aspetto molto diverso da quello di pochissimi mesi fa quando avevo bazzicato a Gare du Nord.
Un ubriaco ondeggia, lo scanso. Qualcuno mi parla in un francese sconclusionato, una litania di parole simile ad una preghiere.
Mi soffermo davanti a una enorme rosticceria cinese, respiro odori speziati, tanti paesi, confini indefiniti, mi lascio confortare, procedo.
Arrivo all’hopital Saint Louis, e noto altre tracce di città ferita, feriti i palazzi, macerie, costruzioni a metà, disorientate le persone.
Due ragazzi stanno riempiendo un muro di tag e scritte, cambio marciapiede.
Un uomo è seduto vicino a una tenda canadese. L’ospedale incute un certo timore per la sua cupa imponenza, come la stazione della metropolitana. Intorno vedo solo piccoli market pakistani e tanti ubriachi, qualche ragazza con tacchi vertiginosi e tanti strappi e cose perdute nel fondo degli occhi.
La città è piena di occhi dove perdersi, occhi dove affondare.
Sono venuta per raccontarlo questo disagio, seguendo il filo della città sotterranea. In senso reale e in senso metaforico.

7

. 
L’INVASIONE DEI BOULEVARD 
I senza tetto sono anche in centro, nelle zone eleganti vicino alla brasserie Lipp, al Cafè Flore, fra i ricordi degli esistenzialisti e i nuovi templi della moda.
Boulevard Saint Germain è pieno. Mi raccontano che dormono all’aperto intere famiglie rom.
Mi raccontano che da qualche mese si è assistito a una migrazione di gitani come non s’era mai vista da tanti anni, sono arrivati tutti in blocco e dormono all’esterno. Sono donne, uomini, bambini piccoli, famiglie. Non vogliono andare al riparo, rifiutano ogni aiuto, fa parte della loro cultura, e restano per strada ad occupare la loro porzione.
Ma non sono solo gitani i senza tetto, i disperati che ho incontrato, racconto.
Soprattutto, mi rispondono.
Per gli altri c’è sempre un riparo di notte, passano con diversi furgoni in vari quartieri, li raccolgono, propongono ospitalità, offrono cure e pasti caldi. Non conosco gli orari e non ho mai visto passare questi furgoni.

6
.
Penso però che, in questo periodo di grande sofferenza per l’Europa, c’è ancora, in enormi metropoli come Parigi, una mano che aiuta, una catena di solidarietà, si cerca, con tutti i limiti della crisi economica di non lasciare indietro nessuno.
Non mi convincono che si tratti solo di gitani, ma l’idea di questi furgoni solidali che passano ad alleviare le notti difficili di chi dorme fuori mi piace molto.
Perlustro altri quartieri.
Dormono tutti per strada, anche vicino all’Opera Bastille, un po’ ovunque, si mettono in mezzo al marciapiede in ginocchio, ti bloccano mentre passeggi come hai sempre fatto, per camminare la città dall’interno, per fare quello che hanno sempre fatto tutti a Parigi, scrittori, artisti, testimoni, sfaticati, diseredati, gente colpita dalla vita,umanità ai margini che nelle strade di Parigi ha per tradizione trovato conforto e sostegno.
Lo fai, da subito, da Gare du Nord. Ma non ci riesci del tutto a passare le giornate da flaneur come volevi con uno scopo documentario e tutti i fantasmi letterari, come fai sempre e con la voglia di sentirla scorrere sottopelle con la sua straordinaria forza quella metropoli che ami e corteggi da tanti e tanti anni, che vivi come una seconda patria, come un rifugio.
Diventa molto complicato. Reclamano attenzione,pretendono, ti parlano, bastano pochi spiccioli, una sigaretta, hanno cani, bambini, cartelli che dicono “ho fame”, hanno storie da raccontare e altre da dimenticare.

2 classique due

.
LA PARIGI SOTTERRANEA CLASSICA E QUELLA DA INTUIRE 

“..Ma sotto alla città, sotto alle fogne e alle stesse linee della metropolitana si nasconde un’altra città. 15-25 metri di profondità, qualche volta su due, tre livelli, per quasi 300 km sotto alla città intra-muros. … 8Di questi misteriosi sotterranei se ne possono visitare, ufficialmente, una piccolissima parte sotto la rive gauche , circa 6 km… le restanti gallerie si propagano per centinaia di chilometri e sono ancora oggi percorse da alcuni avventurosi che sfidano il divieto e gli ostacoli per entrarvi..:”
Fabio De Gennaro.

Parigi è un vortice e i visi dei turisti di primavera, come quelli dei passanti , dei disorientati, di tutta l’umanità che resta bellissima anche in questo strano periodo di passaggio sono altrettanti piccoli vortici. Ti perdi nelle storie che raccontano. Ti perde nelle loro vite. Li segui con la fantasia, a volte ti informi, li fai parlare. A volte parlano con la pancia e le viscere e dicono che ha ragione la Le Pen, basta Europa, euro, immigrati. A volte analizzano con equilibrio, altre volte lasciano andare, c’è troppo da fare per stare a rimuginare. C’è un reticolato di vita sottotraccia, nascosta e impensabile degli uomini e delle donne, gitani, francesi, rumeni, italiani, che girovagano per la metropoli e non sempre riescono a fare due pasti al giorno, noi non ci pensiamo mai, ma fare due pasti per qualcuno è un privilegio.

Parigi ha anche una vita sotterranea che non tutti conoscono, anche se una parte è diventata abbastanza nota fra i turisti appassionati di cose insolite, i suoi sotterranei, visitabili e vivibili, anzi presentati molto bene grazie ad un inedito tour underground percorribile tutto l’anno.

1

.
Il primo ingresso nel sottosuolo si trova nei pressi del Pont de l’Alma: è il Musée des Égouts e ci vado due volte: si tratta un curioso «museo» che racconta la storia della più grande rete fognaria del mondo, tra pompe di sollevamento delle acque, canalizzazioni e collettori ideati da Eugène Belgrand. Si trova a una discreta profondità e per un po’ credo che la mia claustrofobia mi impedisca di scendere più a fondo.
C’è scritto, entrando “Scendete nelle viscere di Parigi e scoprite una vera “città sotto la città”.
E questa è la prima cosa che mi ha incuriosito, sono qui perché voglio raccontarla, quella vera, e quella metaforica, cosa c’è sotto, cosa si vede cambiando la prospettiva.
La visita di questo strano museo, che è stato ingrandito, ampliato e valorizzato dall’ex sindaco Bertrand Delanoe è una vera esperienza di passeggio sottoterra. Si comincia nella Galleria Victor Turgot. In questo antico tratto si notano una serie di canalizzazioni che sono, in qualche modo, “Il sistema nervoso della città”, e al termine della galleria si può vedere alla sinistra un vagone- paratoia, utilizzato per la pulitura delle fogne.
Si entra e si esce da varie gallerie e poi, al di sopra delle acque del bacino di decantazione Bosquet, si può scoprire tutta la storia del circolo dell’acqua e quella della lotta combattuta nei secoli per preservare l’equilibrio ecologico della città. Incredibile pensare che visitando questo singolare museo sotterraneo si possano apprendere principi fondamentali relativi all’alimentazione, all’acqua potabile, a come tutto è cambiato nei vari secoli, al bilancio ecologico..
Uscendo, ti dicono che “Dopo la città sotto la città, ritrovate la nostra bella Parigi”.
Quando esci sei sicuramente un po’ stordito: è un buon modo per comprendere quante cose accadono, sottoterra, di cui non si è completamente a conoscenza quando si passeggia, quando si arriva o si resta per poco tempo. Ma la Parigi sotterranea continua.

Passo alle Catacombe. Per passare in rassegna le tombe sepolte a 20 metri sotto terra bisogna scendere 130 gradini e percorrere 2 km a piedi camminando tra migliaia di ossa e teschi geometricamente accatastati. Sono oltre 6.000.000 i resti dei parigini che, tra l’XVIII e il XIX secolo, furono destinati al fresco delle Catacombe .
Da non mancare anche la visita alla Cripta archeologica che si trova sotto il sagrato della Cattedrale di Notre-Dame racconta l’evoluzione dell’Île de la Cité attraverso gli scavi archeologici.

7

.
LE STAZIONI DELLA METROPOLITANA

La metropolitana parigina vanta alcune fermate d’artista che valgono uno sguardo più attento, come «Arts et Métiers», ispirata ai racconti di Jules Verne e «Abbesses», con la sua scala a chiocciola abbellita da graffiti. La metropolitana è un mondo.
4Mi avevano detto che a Parmentier distribuiscono pasti nei sotterranei non è lo stesso furgone che gira di notte, sono volontari che si organizzano, così vado a vedere. Non c’è niente, quando arrivo io, cosa pensavo di trovarmi di fronte a una scena trasportata in questo tunnel della metropolitana direttamente da un film neorealista? Non vedo ma chiedo, mi mostrano un manifesto in un angolo che avvisa della distribuzione, “autogestione” è una parola che non leggevo da tempo, si parla di dicembre e gennaio. Quando è freddo davvero, penso.
Questa tarda primavera è un inganno, penso, subito dopo.
Una signora mi dice che accade anche in altre stagioni, che vanno con scatolette, con alimenti non deperibili per le persone che fanno fatica ad arrivare a fine mese, che gli aiuti del comune non bastano, che qualcuno rimane comunque escluso.
“Solo qui e a Belleville, però”.
Giustificare sempre. Lo capisco.
La fierezza dei francesi mi ha sempre ipnotizzato.
Decido di restare sotto.
Prendo i treni senza guardare le direzioni. Mi perdo nelle viscere accessibili, la stazione, la frenesia, la bellezza della gente, tante cose sono come sempre. In diverse stazioni noto piccoli banchetti. C’è chi vende quello che ha.
Una città che si arrangia, sopra o sotto.

3

.
E SOPRA?

Apparentemente, questa dimensione sotterranea, questo disagio che occupa ma che non ha voce, questo controcanto dolente si sente se si decide di prestare attenzione ma non modifica la Parigi che abbiamo nei nostri ricordi, quella da cartolina, quella radiosa. Ci sono turisti, passanti, amanti che si soffermano nei giardini. Sono giovani e vecchi, si tengono per mano, si siedono, si parlano, seguendoli nei movimenti lenti, allora sì che ognuno ritrova il film dei suoi desideri, ritrova la nouvelle vague, il realismo poetico, Carné, Prevert, Jeanne Moreau. Parigi è tutta qui, c’è sempre e porta sempre con sè quella superba capacità di incanto, non si deve dimenticare “l’altrove”.

:

DOVE BALLARE
I migliori sotterranei dove mangiare e ballare sono il ristorante Les Crayères des Montquartiers (www.crayeres-montquartiers.com) e il jazz club Caveau de la Huchette (www.caveaudelahuchette.fr).

DOVE DORMIRE
Un consiglio meraviglioso. In fondo Parigi è una città di contrasti. Di sinfonie diverse. Dormite all’Hotel Chopin: www.hotelchopin.fr
Iscritto al registro dei monumenti storici, a 10 minuti dall’Operà, è un luogo magico e assolutamente speciale.

Oppure, sperimentate il mio albergo supereconomico, capace di dare il benvenuto in un modo speciale: Hipotel Paris Belleville Gare de l’Est.

DOVE MANGIARE
Senza dubbio da Chartier: www.bouillon-chartier.com/fr/la-carte

.

mazzFRANCESCA MAZZUCATO
Francesca Mazzucato è scrittrice, traduttrice, consulente editoriale.

Il suo ultimo e book è Dimentichiamoci (è possibile acquistarlo cliccando qui).
Il suo ultimo romanzo si intitola L’amore cattivo, GIraldi editore.
Definito “Un libro doloroso e intenso, dal ritmo che turba e avvolge” tratta il tema della fragilità, della manipolazione e della violenza sulle donne. Si trova in libreria o si può ordinare in tutte le librerie online e sul sito dell’editore (cliccando qui).

Credits foto: Francesca Mazzucato, Mauro Orrico, Photocase store.