Di Mauro Orrico
«Se si fosse ritirato prima, sarebbero stati altri candidati». Nancy Pelosi, ex speaker della Camera e colonna portante del partito democratico, spiega così la sconfitta di Kamala Harris, attaccando direttamente Joe Biden. Il ritardo con cui il presidente uscente ha fatto il passo indietro e i tempi strettissimi per la sua sostituzione e per la campagna elettorale spiegano, solo in parte, i motivi della sconfitta dei democratici alle ultime elezioni presidenziali contro Trump. Dove ha sbagliato dunque Kamala Harris? Probabilmente non si è allontanata abbastanza da Biden, che ha 81 anni ed è molto impopolare, e gli elettori l’hanno associata ad alcune scelte politiche deludenti del governo uscente, di cui Harris è stata vicepresidente, soprattutto riguardo ai due temi che sono stati al centro dell’intera campagna elettorale: l’economia e l’immigrazione. Negli anni dell’amministrazione Biden, il Pil americano è cresciuto molto, l’economia statunitense ha ottenuto risultati eccellenti ma l’inflazione è aumentata molto e la percezione di molti americani è stata quella di impoverimento generale.
Nei primi mesi del suo mandato, inoltre, Biden ha dovuto affrontare l’aumento dei flussi migratori. Negli ultimi anni (e anche di recente) ha adottato misure più restrittive, ma quattro anni non bastano a risolvere i problemi dell’America Centrale, da cui partono i migranti alla volta degli Stati Uniti.
C’è poi il fattore fake news: soprattutto nelle ultime settimane Ellon Musk, proprietario di X e attivissimo sostenitore di Trump, ha inondato la rete di notizie false e complottiste contro i democratici. Per paura di ritorsioni, inoltre, non si sono esposti a favore dei democratici Mark Zuckerberg, proprietario di Facebook e Instagram, e Jeff Bezos, editore del Washington Post, che per la prima volta non ha fatto alcun endorsement per i democratici.
E c’è il tema guerre (in Ucraina e Medioriente) che Trump ha promesso di chiudere in poche settimane, mentre a Gaza si contano ormai quasi 43mila morti e 105mila feriti, con Kamala Harris che ha sempre confermato il suo sostegno ad Israele. Una scelta che le ha fatto perdere il consenso di parte delle comunità arabe e di tanti filo palestinesi che hanno probabilmente scelto di non votare o di votare per Tump o per la candidata della sinistra indipendente Jill Stein del Green Party (che però ha avuto solo lo 0,5%).
Harris non è riuscita, dunque, a presentarsi come la candidata del cambiamento. E molti analisti non sottovalutano neanche il fattore donna: l’America non è solo New York o California, ma resta un Paese che ha ancora enormi sacche di profondo conservatorismo, bassi livelli di istruzione e vetero maschilismo.
PUBBLICITÀ