Più piazze e meno bombe. È questo il monito che emerge dalla ricerca pubblicata dalla Columbia University Press. Analizzando i dati di campagne di resistenza non violenta dal 1900 al 2006, le lotte che non sono sfociate in conflitti armati sono state due volte più efficaci di quelle violente. Un risultato confermato anche da due “piazze vincenti” del presente: ad aprile, il presidente del Sudan Omar Al-Bashir, da 30 anni al governo, si è dimesso in seguito alle proteste pacifiche di massa. Un fatto simile è accaduto in Algeria, dove mesi di manifestazioni hanno spinto il presidente Boutefika a dimettersi lo scorso 2 aprile 0219, rinunciando al quinto mandato, dopo 20 anni al potere.
Aveva ragione quindi Mahatma Gandhi, simbolo di quella lotta pacifica per l’emancipazione, i diritti e la giustizia. Un uomo, un’icona, celebrato anche dalle Nazioni Unite che hanno istituito la giornata mondiale della non violenza il 2 ottobre, nel giorno della nascita di Gandhi.
Un’attivista per la pace in Kurdistan e in Siria sul New Internationalist ha argomentato come la non violenza non sia affatto superata. Ma ha anche chiesto ai lettori: “Come si può invocare il disarmo di fronte alla minaccia dello Stato Islamico? Come non riconoscere la necessità di una difesa militare di fronte a chi uccide per opprimere? Alzando le mani, potremmo essere capaci, oggi, domani, di sconfiggere dittatori, fermare abusi”?
La ricerca americana sembra voler rispondere: dovremmo. “L’oscurità non può cacciare l’oscurità”, diceva Martin Luther King. Un mesaggio da ascoltare.