Una pagina Instagram raccoglie opere ispirate alla tragica guerra dichiarata dal governo russo contro l’Ucraina. Lo scopo è raccontare il dramma dei profughi, ma prima di tutto dirgli “Welcome to European Union”. La nostra intervista a Umberto Cofini e Francesco Perruccio di PUTINPEACE.
Put in Peace e Putin Peace! è un’esortazione e un appello allo stesso tempo, il nome della pagina instagram che in pochi giorni ha già raccolto decine di opere d’arte realizzate come urlo contro l’invasione russa in Ucraina. Dal confine con l’Ucraina il fotografo Fabrizio Spucches, uno dei fondatori di PUTINPEACE, invia nuove foto e testimonianze ogni giorno su quello che sta accadendo. Oltre a Spucches, fanno parte del team creativo l’art director Umberto Cofini, i fotografi Andreana Ferri e Tommaso Cimarelli, i designer Francesco Perruccio e Adriano Amenta e la producer Andreea Apavaloaei.
Hanno aderito a questo progetto grandi personalità della fotografia come Oliviero Toscani o della moda come Jean Charles de Castelbajac e dell’arte come TvBoy, passando per decine di grafici, fotografi, illustratori, artisti visivi e video.
In tanti stanno inviando messaggi di pace, con la speranza che possano arrivare alla popolazione ucraina, per farla sentire meno sola e a tutti, con un’unica avvertenza: “The Gallery will close when the war is over”, questa la speranza più forte di PUTINPEACE.
La scorsa settimana due dei tre fondatori, il fotografo Fabrizio Spucches e l’art director Umberto Cofini, insieme al designer Francesco Perruccio, sono partiti per il confine tra Romania e Ucraina. Dopo aver realizzato ritratti, interviste e reportage, Umberto e Francesco sono tornati in Italia portando con sé una famiglia di tre rifugiati ucraini, mentre Fabrizio continua il suo viaggio nei luoghi di arrivo dei profughi in Romania e Moldavia, dove prima di qualsiasi cosa dà il benvenuto a chi riesce a passare il confine: “Welcome to European Union” è il suo saluto. Poi scatta foto, realizza interviste che condivide in tempo reale, sempre grazie alla pagina instagram PUTINPEACE.
La nostra intervista a Umberto Cofini e Francesco Perruccio
“PUTINPEACE cerca di fare la propria parte. PUTINPEACE non vede l’ora di chiudere. PUTINPEACE parla a nome di tanti perché Welcome to European Union”.
Noi di FACE Magazine.it abbiamo parlato con uno dei fondatori, Umberto Cofini, e con il designer Francesco Perruccio, autore delle foto nella gallery, in alto.
In che parte della Romania vi siete recati per incontrare i profughi?
A Sighetu Marmatiei, al confine con l’Ucraina, il fotografo Fabrizio Spucches è partito per il suo viaggio il 3 marzo, mentre noi lo abbiamo raggiunto subito dopo. Fabrizio è fisso lì, mentre noi ci siamo fermati alcuni giorni. Lo scopo è quello di fare foto, interviste e documentare quello che sta accadendo. Materiale di documentazione e artistico che racconta quello che succede in Ucraina, ma anche lo stato d’animo e la presa di posizione di tanti artisti in giro per il mondo. Opere che sono sia fotografie d’autore fatte in loco o ispirate dal momento storico o vere e proprie opere d’arte, sempre ispirate a questi tragici avvenimenti.
Lo scopo è, sia la testimonianza di questo drammatico esodo a seguito dell’aggressione militare russa, sia essere un pungolo per stimolare l’opinione pubblica. Per comprendere fino in fondo che qui non è in gioco il prezzo della benzina o del gas, ma le vite di persone che per altro stanno affrontando una guerra pur di entrare in Unione Europea. Ovviamente ogni guerra e ogni vittima sono sempre uguali, ma questo momento storico ci permette di capire drammaticamente come forse abbiamo ignorato una serie di segnali ben precisi. Per esempio il fatto che la guerra in Ucraina sia iniziata in realtà tanti anni fa. Vi era un generale pensiero che la guerra fosse estinta in Europa, come se l’Ucraina, la Georgia e l’ex Jugoslavia non fossero parte del nostro continente. O peggio ancora vi era un pensiero sottointeso che lasciava intendere che le guerre più lontane non erano guerre che ci riguardassero. Fatto assolutamente falso, basti pensare che i russi stanno mandando mercenari siriani a massacrare gli ucraini casa per casa. Visto che l’opinione pubblica russa non sosterrebbe a lungo che i propri figli muoiano in guerra e nell’ottica di Putin, la gente si farebbe meno problemi, se fossero i siriani a morire per loro.
Il progetto Put in Peace e Putin Peace! vorrebbe che il materiale raccolto e creato per la pagina sui social percorresse tutti gli sbocchi possibili per questo progetto di riflessione giornalistica e artistica, quindi dalla diffusione sui social media, giornali e tv, fino a future mostre e pubblicazioni che possano testimoniare nel tempo questa drammatica storia.
Che persone e storie avete incontrato?
Il punto d’arrivo dei profughi nella città di Sighetu Marmatiei, è in un certo senso tragicamente simbolico, un ponte sul fiume Tibisco. La gente arriva in macchina o a piedi. Sul ponte passa solo una macchina alla volta perché è stretto e in un’ora arrivano in media sulle 200 persone. I rumeni stano facendo uno sforzo enorme per accogliere le persone, con grandissima solidarietà, pur essendo la città non tra le zone più ricche d’Europa.
I profughi quando arrivano alla frontiera hanno stati d’animo diversi, alcuni sono semplicemente smarriti, in quanto scappati di colpo dalle bombe senza avere alcuna idea di dove andare, mentre altri sono di fretta perché hanno una destinazione e cercano di raggiungere parenti da qualche parte in Europa. Li accomuna una profonda rabbia per quello che Putin sta facendo e un grande senso di riconoscimento per la resistenza ucraina, spesso fatta dai loro mariti, padri e figli. Ci sono alcuni casi anche di ragazze che non hanno figli e che sono rimaste al fronte. Ci sono mille storie incredibili, difficili da raccontare tutte, ma che hanno in comune la drammatica difficoltà dell’essere passati da una vita normale, al diventare profughi in quella che passerà, probabilmente, come la più drammatica guerra degli ultimi decenni in Europa.
Come avete conosciuto i profughi che avete riaccompagnato a casa?
Ci siamo imbattuti, mentre facevamo le interviste sul ponte sul fiume Tibisco, in Livia, una professoressa di storia cinquantenne, con i figli Maria, un’infermiera ventiquattrenne e Miroslav, di 14 anni.
Dopo quel primo incontro, li abbiamo incontrati di nuovo casualmente in un monastero ortodosso. Il ragazzo ci ha riconosciuto e ci ha chiesto di portarli via dalla Romania. La madre e la figlia parlano solo ucraino e russo, mentre il figlio è l’unico che parla un po’ di inglese.
Siete quindi partiti. È stato facile?
Abbiamo deciso di portarli con noi. La madre e il figlio avevano il passaporto, ma la figlia lo aveva perso e aveva solo la carta identità. Siamo partiti e le prime difficoltà le abbiamo trovate al confine ungherese. Hanno fatto un sacco di problemi burocratici, tanto che abbiamo aspettato per otto ore in coda. Le persone con passaporto dell’Unione Europea erano talmente esasperate, che in molte hanno chiamato i loro consolati perché sollecitassero l’Ungheria a snellire i controlli. L’impressione era che queste lungaggini fossero più politiche che burocratiche.
Una volta passata la frontiera abbiamo dormito a Budapest e siamo arrivati a Milano alle sei di sera.
Al contrario dell’Ungheria è stato bello vedere come la Slovenia abbia invece deciso di non far pagare l’autostrada per i profughi ucraini che scappano o per chi li trasporta. Purtroppo per noi non tutti i poliziotti sloveni sono però così accoglienti. Infatti, la normativa prevede che per non pagare la macchina debba avere una targa ucraina o segnalare il trasporto di profughi con una bandiera ucraina, che ovviamente non è facilmente reperibile in una situazione come questa. La polizia ci ha quindi fermato e ha fatto una multa di 150 euro, oltre che averci fatto pagare 15 euro di pedaggio.
Arrivati in Italia tramite il Comune di Milano siamo stati indirizzati al centro di accoglienza della Croce Rossa di Bresso, dove i profughi che non hanno parenti o amici in Italia, vengono accolti e aiutati nelle pratiche per rimanere.
Fabrizio Spucches è rimasto invece al confine con l’Ucraina e posta ogni giorno sulla pagina nuove testimonianze.
Sì, Fabrizo ha proseguito il suo viaggio a Siret, sempre in Romania ed ora è in Moldavia, dove continua a documentare l’arrivo dei profughi al confine.
Di Luca Fortis
Giornalista professionista, laureato in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali alla Cattolica di Milano. Un pizzico di sangue iraniano e una grande passione per l’Africa e il Medioriente. Specializzato in reportage dal Medio Oriente e dal Mediterraneo, dal 2017 vive a Napoli dove si occupa di cultura e quartieri popolari e periferici.