Danze del Drago, canti tipici, sfilate e feste ovunque. La comunità cinese festeggia l’anno del maiale. In Italia, così come in tutto il mondo, il Capodanno cinese diventa un evento diffuso e partecipato, in ogni grande città. Il quartiere di Chinatown in via Paolo Sarpi a Milano e Piazza Vittorio all’Esquilino a Roma sono invase in questi giorni da musiche, colori e parate in costume. Il Capodanno cinese varia in base al calendario lunare, le date cambiano ogni anno, ma di solito cade nel periodo compreso tra il 21 gennaio e il 20 febbraio. I festeggiamenti durano 15 giorni e terminano con la festa della lanterne.

Il luogo comune (sbagliatissimo) è quello del cinese del ristorante o del negozio di casalinghi sotto casa. In realtà quella “del Dragone” è una comunità molto speciale.
In Italia negli ultimi 20 anni i cinesi sono passati da 32 mila a 319 mila regolarmente soggiornanti, al terzo posto nella classifica degli stranieri dopo Marocco e Albania. Secondo l’ultimo Rapporto del Ministero del Lavoro, il 55% risiede nel settentrione, il 22,4% in Lombardia, il 21% in Toscana. Con due punti nevralgici: la Chinatown milanese e Prato, area di concerie, manifattura e integrazione produttiva ormai pienamente realizzata.

La comunità cinese è giovanissima (poco meno della metà è under 30) e il tasso di natalità registra livelli molti alti: basti pensare che il primo cognome tra i nuovi nati a Milano non è Fumagalli, Rossi o Brambilla, ma è Hu.
Quella che un tempo era considerata la comunità più ermetica e misteriosa, si apre sempre di più alle altre culture: i nuovi italiani con gli occhi a mandorla sono tra i più integrati, l’indice di disoccupazione è solo del 4%, quattro volte meno degli altri extracomunitari in Italia. Le seconde e terze generazioni frequentano le scuole e le università italiane e sognano un futuro in Italia e in Europa.

La spiccata propensione all’imprenditoria la raccontano i numeri: sono oltre 51mila gli imprenditori attivi in Italia e nati in Cina. Tra questi, 20mila operano nel commercio e 17 mila nel manifatturiero. Inoltre, pur provenendo da un Paese comunista, non amano i sindacati e solo l’1% dei tesserati stranieri è cinese.
Oggi, il gigante asiatico è una potenza mondiale di primo livello. Tuttavia, le sfide sono tante e non poche sono le preoccupazioni dei diversi leader europei che temono l’impatto negativo di un investimento sfrenato da parte di Pechino in Europa.

L’Italia sarebbe la terza destinazione europea per gli investimenti cinesi. Una minaccia o un’opportunità per gli italiani? Solo nel 2017, 514 aziende italiane sono state partecipate da investitori cinesi e se si considerano soltanto gli investimenti cinesi (dunque escludendo quelli di Hong Kong) si parla di un totale di 26.039 dipendenti e di un fatturato di 13.991 milioni di euro.
Il “caso Prato” è emblematico: la città toscana è tra le più «cinesi» d’Europa. Qui le piccole imprese cinesi si sono perfettamente inserite nella catena produttiva, fornendo a prezzi bassi prodotti in conto terzi che alimentano il sistema abbigliamento e le grandi griffes. A fronte del declino dell’industria italiana ci si chiede, però, cosa succederebbe se non ci fosse questo forte investimento straniero.

La vita reale delle comunità asiatiche in Italia e in Europa è, tuttavia, un mondo composito e non è tutto oro quel che luccica. Di norma chi arriva senza mezzi propri ha già accumulato un forte debito, di circa 20 mila euro e spesso è costretto a lavorare per uno-due anni in condizioni pesantissime a salari irrisori e senza le tutele minime. La vita in molte fabbriche e botteghe è oltre i limiti della legalità e non pochi sono stati i sequestri e le sentenze di condanna, in questi anni.

C’è poi un dato importante. Nel 2011 il flusso di denaro che i cittadini cinesi spendevano nel loro Paese, cioè le rimesse, ammontava a 2,5 miliardi di euro. Oggi che le condizioni di vita nella potenza asiatica sono migliorate sensibilmente il dato delle rimesse è calato di dieci volte arrivando a 237 milioni. Più denaro resta così in Italia e meglio si vive. Anche a Pechino.