Domenica 26 novembre chiude la 57esima edizione della Biennale d’arte di Venezia. Al timone quest’anno c’è stata Christine Macel, chief curator del Center Pompidou di Parigi. Il nome scelto per guidare questa edizione è quello di una donna ben inserita nel sistema dell’arte contemporanea. Macel ha portato in Laguna 120 artisti, da 86 Paesi diversi, per dimostrare che sì, Viva Arte Viva, come il titolo che ha scelto.
Il lungo percorso parte dal Padiglione Centrale dei Giardini e poi prosegue all’Arsenale intorno a 9 capitoli: Padiglioni degli Artisti e dei Libri, Padiglione delle Gioie e delle Paure, Padiglione dello Spazio comune, Padiglione della Terra, Padiglione delle Tradizioni, Padiglione degli Sciamani, Padiglione Dionisiaco, Padiglione dei Colori, Padiglione del Tempo e dell’Infinito. Continua poi tra i padiglioni nazionali e tra le tante mostre ed eventi sparsi per la città.
È una Biennale ricca e composita, senza dubbio. Tra padiglioni interessanti, riusciti ed altri decisamente evitabili. Stupisce e almeno non annoia quello italiano. Attraverso un percorso buio si apre un tunnel di plastica trasparente fatto di grandi bolle e obitori con scheletri e corpi crocifissi sulle pareti scure. Strepitoso, lo ha definito una parte della critica. Buio, tetro e inquietante, per molti altri. Lo firma Roberto Cuoghi. Si procede poi con i video di Adelita Husni-Bey e si conclude con la fascinosa installazione di Giorgio Andreotta Calò.
Se la Francia sceglie la musica elettronica, Russia, Corea e Cina propongono forse i padiglioni migliori. Anne Imhof per la Germania ha creato il padiglione più affollato: all’esterno gabbie di ferro, all’interno gabbie di vetro dentro le quali si muovono i performer e gli spettatori. È un trionfo per lo sguardo il Padiglione dei Colori. Affascina quello di Singapore.
L’Austria sceglie Moataz Nasr e la sua opera “The Mountain” per aprire la sua area che ospita alcune opere di uno dei suoi artisti – simbolo, Erwin Wurm. La sua è un’arte spaziale vera e propria in cui lo spettatore è chiamato ad esprire direttamente le condizioni di mobilità e immobilità. Nascono così le sua One Minute Sculpture, sculture comportamentali dove i visitatori devono seguire specifiche istruzioni per “viverle” ed esserne partecipi.
L’americano Mark Bradford firma una mostra sul tema dell’integrazione, Phyllida Barlow per la Gran Bretagna porta le sue magnifiche sculture e la Corea diverte con un padiglione di luci, pin up e insegne luminose degli artisti Cody Choi e Lee Wan.
E poi c’è tutto un mondo fuori. Dove l’arte è ancora più viva. Come al Museo Correr, dove espone l’iraniana Shirin Neshat, alla Fondazione Giorgio Cini, dove sono i mostra lavori capitali di Alighiero Boetti, al Peggy Guggnheim con la mostra su Mark Tobey. Ma Venezia non è solo Biennale. E chi è o sarà in città fino al 4 dicembre non perda la grande esposizione di Damien Hirst, a Palazzo Grassi e Punta della Dogana per la prima volta unite in un’unica mostra.