Disintegration-IO è la prima personale di Marco Sorgato. Oltre 50 opere indagano il rapporto Uomo – Natura, in mostra allo Scalo Lambrate di Milano, fino al 20 giugno. Face Magazine.it ha incontrato l’artista.
Giovedì 20 maggio ha inaugurato allo Scalo Lambrate di Milano Disintegration-IO, la prima personale di Marco Sorgato, artista giovane ed eclettico che spazia dalla musica underground ai tatuaggi, fino ad arrivare all’arte con una serie di opere che indagano il rapporto Uomo – Natura in questo particolare momento storico. La mostra, visitabile fino al 20 giugno, è composta da una cinquantina di opere che si compongono di tre serie: De-Composizioni, Diario della Sopraffazione, Dead Chips. Al centro di tutte c’è una profonda ricerca antropologica che riflette sul tentativo di sopraffazione da parte dell’uomo nei confronti della natura.
La scrittura è il medium prescelto da Marco Sorgato per operare questa sopraffazione in piccola scala. Le piante, simbolo della Natura, sono invece l’apparente “parte lesa”. L’artista agisce su di esse scrivendo con una bomboletta spray, con un gesto veloce e invasivo che simboleggia la brutalità del gesto dell’uomo contemporaneo.
Secondo Sorgato la natura è un sistema complesso da cui l’uomo non può sentirsi estraneo e la sua reazione non può che annullare l’intervento umano facendolo rientrare nei suoi cicli vitali.
Per questo la scritta sulla pianta è destinata a scomparire: la chioma, crescendo, modifica il messaggio, poi lo distorce fino a renderlo irriconoscibile. Con il ricambio di foglie, infine, perde gli ultimi segni dell’intervento umano. Da una foglia persa nasce un germoglio e l’intervento dell’uomo viene quindi dimenticato e decomposto.
Questo difficile tempo di pandemia ha portato Marco Sorgato a una riflessione profonda. Più l’uomo toglie alla natura, più toglie a se stesso perché è parte di un equilibrio che non si può ignorare. L’uomo è fatto da una rete di infinite relazioni di cui può percepire solo la proiezione semplicistica dei suoi sensi. Si tratta di una lotta tra “finito” contro “infinito” impregnata di contraddittorietà.
L’esposizione, organizzata dall’Associazione Formidabile, è curata da Nicolas Ballario e vede la direzione artistica di Umberto Cofini. È la seconda mostra ospitata nei suggestivi spazi di Scalo Lambrate, progetto di rigenerazione urbana nato dalla collaborazione tra Associazione Formidabile, Municipio 3 e FS Sistemi Urbani proprietari dell’asset. Un deposito inutilizzato da anni, all’interno dello scalo ferroviario di Lambrate, restaurato rispettando i principi di sostenibilità ambientale e messo a disposizione della comunità attraverso una serie di attività culturali e servizi.
Per approfondire i temi raccontati dalla mostra, Face Magazine.it ha intervistato Marco Sorgato.
Come nasce il progetto di Disintegration-IO?
Ho trascorso il primo lockdown nella casa di campagna di famiglia, nei colli euganei e mi sono trovato a gestire da solo diversi ettari di terreno a stretto contatto con la natura. Successivamente mi sono trasferito e la casa pian piano si è trasformata in una serra. Ora ho circa centocinquanta piante, tra cactus, piante ornamentali, tropicali e aromatiche. Ho passato a stretto contatto con esse quest’ultimo anno, costretto anche dai vari coprifuochi, lockdown e periodi in cui non si poteva lavorare. Osservando le piante, entrando in empatia con loro e con i propri cicli vitali, ho iniziato a sviluppare certi pensieri che si sono poi consolidati in “Disintegration-IO”.
La sopraffazione e il controllo della natura da parte dell’uomo è solo un’illusione?
Certamente e con le mie opere lo dimostro. Le parole “uomo” e “natura” dovrebbero coincidere e non rappresentare una dicotomia. Sbagliamo non solo a considerarci superiori, ma anche a considerarci “altro” dalla natura. Questo modo di pensare così sbagliato è origine del probabile disastro a cui stiamo andando incontro. Stefano Mancuso descrive molto bene questa situazione nel libro “La Nazione delle Piante” definendola come “l’ultima vera e propria estinzione di massa”.
Mi parli della serie decomposizioni?
Le De-Composizioni sono le opere più estetiche della mostra, il processo che innesco, verniciando le piante e quindi operando la mia sopraffazione nei confronti della Natura, viene “bloccato” seccando le foglie e attaccandole a una tela. Il processo che adotto, essiccazione o stabilizzazione, diventa allegoria dell’imbalsamazione di un caro defunto da cui non ci si vuole distaccare.
Una serie di opere è intitolata Diario della Sopraffazione, me ne parli?
Questa serie è semplicemente il risultato “reale” della mia azione – sopraffazione. Le foglie verniciate si ammalano e poi si staccano. Io le prendo da terra e le posiziono in queste teche entomologiche catalogandone quasi maniacalmente, giorno per giorno, la caduta.
Ti sei ispirato al concetto di dualità vita e morte?
Molto, confesso che questa è la mia ossessione principale.
L’ultima serie di opere in mostra si chiama Dead Chips. Esiste un vero e proprio consumo della morte, quasi pop?
Purtroppo sì e noi ne siamo, non solo i testimoni, ma anche i fautori inconsapevoli. Con queste opere invito a meditare sulle nostre azioni più banali, sostituendo le patatine, icona pop, con le foglie morte.
Sei anche tatuatore, il creare tatuaggi su un elemento vivo come la pelle ti ha ispirato per questa mostra?
Devo dire che ho fatto di tutto per staccarmi dal tatuaggio per presentare questa mostra, eppure l’elemento principale di queste sopraffazioni sulle piante è la scrittura. In questo caso, con la bomboletta o con qualche pennarello indelebile molto tossico.
Riguardo alle mie opere come tatuatore, ho coniato il termine “Lettering Culture” qualche anno fa per descrivere il mio stile personale poiché principalmente i miei tatuaggi sono scritte fatte a mano con la mia scrittura personale. A volte intervengo con piccoli disegni, astrazioni sottostanti, linee, macchie di colore, geometrie rigide che si dissolvono in loro stesse.
Riguardando anche il primissimo pdf dove avevo scritto questo concept nero su bianco, con dei rendering orribili fatti con l’iPad, mi sono accorto che il titolo era “Scrivere sulle piante”.
Ho riflettuto molto a riguardo e questa è la mia conclusione: il “vissuto” è imprescindibile dalla produzione artistica e certe sfaccettature emergono anche solo a posteriori. Tutto questo per arrivare a dire: sì, il tatuaggio c’entra.
L’uomo è fatto per vivere secondo natura o per fuggire dalle dinamiche, a volte molto dure, a cui la natura lo destina?
Ripeto qui un concetto cardine. Compiendo una sostituzione di termini equivalenti sarebbe corretto scrivere “La natura è fatta per vivere secondo natura”. E quindi la mia risposta è sì, poiché l’uomo coincide con la natura e la natura coincide con l’uomo. Beninteso che ogni prodotto dell’uomo è a sua volta natura, poiché l’uomo è natura. Una strada di cemento, il pc da cui scrivo, tutto questo è natura. L’uomo si serve dell’organo che ha più sviluppato, ovvero il cervello, per perpetrare la sopravvivenza della specie e l’evoluzione ci ha portati fin qui. Noi siamo paradossalmente gli esseri più deboli in natura ma, grazie al nostro cervello, sviluppato in milioni di anni, riusciamo ad affrontare sempre meglio la vita nella natura, costruendoci ripari sempre più solidi, coltivando sempre meglio. Abbiamo creato tutto quello che oggi diamo per scontato, siamo talmente abituati al progresso tecnico scientifico, che non ci riflettiamo più tanto su. Io predico semplicemente la consapevolezza. Se fossimo tutti più consapevoli potremmo certamente continuare a vivere in questa maniera però magari, per farlo, non metteremmo a rischio l’ecosistema e la nostra stessa esistenza.
In epoca di pandemia, il rapporto uomo natura si fa ancora più complesso, è possibile trovare un giusto equilibrio tra la scienza che ci permette di vivere meglio e di più e la necessità di non distruggere la natura, di cui siamo parte? Si può arrivare ad una scienza che porti a un rapporto proficuo con la natura?
Io penso sinceramente che non vi debba essere distinzione tra epoca di pandemia e epoca di normalità per affrontare questa tematica così complessa. Le cose devono cambiare e da subito e, purtroppo, tocca alla classe politica dirottare i comportamenti adottati fino a oggi. Dico purtroppo, perché la politica non guarda oltre i 5/10 anni, ovvero le tempistiche di elezioni e rielezioni. Pertanto, tutti i problemi che hanno un orizzonte temporale maggiore non rientrano tra le priorità e sembrano problemi che non ci toccheranno mai. Dunque sì, è sicuramente possibile, tante brillanti menti ci propongono come farlo giorno per giorno, ma non vi è ancora la volontà di intervenire.
Il grande mistero che avvolge l’essere umano è che l’uomo è l’unico essere che, pur essendo parte della natura, tenta comunque di andare oltre. L’arte da sempre si interroga su questo, abbracciando sia punti di vista religiosi, che laici. Che ne pensi?
È la domanda del secolo, sinceramente non ho una ancora una risposta. Penso appunto che la riflessione, la tensione verso un ragionamento sia la parte importante della questione, ma non ho risposte. Risentiamoci nel 2035, climate changes e, Dio volendo, ne riparleremo!
Di Luca Fortis
Giornalista professionista, laureato in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali alla Cattolica di Milano. Un pizzico di sangue iraniano e una grande passione per l’Africa e il Medioriente. Specializzato in reportage dal Medio Oriente e dal Mediterraneo, dal 2017 vive a Napoli dove si occupa di cultura e quartieri popolari e periferici.