Il virus ha sorpreso e travolto anche il presente (e il futuro) della Penisola Arabica e delle sue monarchie. Per i Paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG), il binomio critico Covid-petrolio lancia nuove sfide in un futuro incerto dove i grandi progetti incrociano intrighi, rivalità secolari e nuove alleanze.
Il processo di trasformazione economico-sociale era già avviato. Il Covid-19, insieme al crollo della domanda e del prezzo del petrolio, ora spinge Riyadh e le altre capitali delle monarchie del Golfo, ad accellerare su quella modernizzazione fondata su investimenti faraonici, mobilità di persone e merci, grandi eventi, strategie di un branding fatto di attrattività turistica, hub finanziari e infrastrutture iperboliche. Ma le tante Visions già pianificate necessitano di significative ricalibrazioni, nei contenuti e nei tempi.
Tutto avviene in un’area geopolitica altamente competitiva e conflittuale, in cui oltre la metà della popolazione è under 30 con una massiccia immigrazione proveniente in gran parte dalle aree più povere di Asia e Africa. Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Oman, Qatar, Kuwait e Bahrein si ritrovano oggi in mezzo al guado di una transizione ancora incompleta. La sfida è traghettare la regione in futuro ancora poco chiaro da un passato dominato dalla massiccia dipendenza dalle riserve petrolifere e di gas naturale di cui la regione è ricca. Un percorso complesso che evidenzia il lato oscuro del potere degli emiri.
Le Visions, i piani di diversificazione economica post-idrocarburi investono anche un mercato del lavoro dominato da una generosa macchina pubblica che è ormai satura. La crisi sta accelerando l’obiettivo della “nazionalizzazione” dei posti di lavoro, in primo luogo nel settore privato, occupati sinora dai lavoratori stranieri (gli expatriates), soprattutto asiatici. La diversificazione economica post-idrocarburi prevede, nei programmi statali, la sostituzione della manodopera straniera con lavoratori nazionali, che hanno fin qui privilegiato il posto pubblico per competenze, reddito e prestigio. È un vero cambio di paradigma, pieno di incognite.
Arabia Saudita e monarchie del Golfo sono diventate punti di riferimento per l’organizzazione di grandi eventi (come conferenze, fiere, esposizioni, mostre e competizioni sportive), dal forte impatto internazionale. Ma l’emergenza Covid ha travolto molti degli appuntamenti più attesi, cancellati o rinviati. Come Expo Dubai 2020 (previsto a ottobre, ma rinviato al 2021), la Riyadh Travel Fair (fiera del turismo) e il Red Sea International Film Festival. La Art Dubai Fair è stata cancellata, ma anche riconvertita a piccola fiera-evento per artisti locali e regionali.
Non è ancora possibile misurare l’impatto di lungo periodo del binomio virus-petrolio. Al momento, commercio marittimo e soprattutto traffico aereo passeggeri (si pensi all’hub aereo di Dubai) hanno subito importanti perdite nell’area CCG. Di certo, Arabia Saudita e le vicine monarchie continuano a investere molto in connettività, nuove città e turismo.
Il ruolo della Cina. Pechino è il primo partner commerciale dell’Oman: l’export petrolifero di Muscat in Cina è addirittura cresciuto nell’aprile 2020 rispetto al mese precedente. La partnership con la Cina ha fin qui permesso al Sultanato di coprire, con prestiti, buchi di bilancio sempre più grandi. Ma ad oggi non è possibile sapere se e come Pechino rimodulerà i finanziamenti alla Belt and Road Initiative (BRI) che passa anche per le coste della Penisola Arabica.
La corsa alla sicurezza alimentare. Il Qatar è già più avanti, complice la crescita demografica e dei consumi. Secondo il Global Food Security Index 2019, il piccolo emirato (boicottato da sauditi, emiratini e bahreiniti dal 2017) è ora 13esimo per sicurezza alimentare, mentre gli EAU sono 21esimi e l’Arabia Saudita 30esima (Oman 46esimo, Bahrein 50esimo). Riyadh e le capitali vicine hanno investito molto in Africa Orientale (soprattutto in Sudan ed Etiopia, con coltivazioni e fattorie). I sauditi hanno lanciato nel 2012 Foodex (International Food and Drink Trade Exhibition), che si svolgerà in novembre a Jedda, ma in piena emergenza Covid, il principe ereditario di Abu Dhabi e vice comandante delle forze armate degli EAU, ha inusualmente richiamato i cittadini, in piena crisi-Covid, a un rapporto razionale con cibo, acqua, energia e risorse perché “abbiamo una cultura dell’eccesso che dobbiamo limitare”.
Nazionalismo e volontariato. Da qualche anno, le monarchie del Golfo coltivano un crescente spirito nazionalista che dovrebbe sostenere i sacrifici della transizione post-oil. Ciò ha contribuito al grande successo delle campagne per reclutare volontari, soprattutto tra i giovani. Medici, infermieri, impiegati nel settore dei trasporti, della logistica, della ristorazione, studenti stanno infatti dando un prezioso contributo volontario nella gestione dell’emergenza legata a Covid-19.
I grandi progetti. Design e nuove architetture: i Paesi arabi puntano su strutture faraoniche. Gli Emirati Arabi investono sulla grandeur: il grattacielo più grande del mondo, la succursale del Louvre e, nel 2021, una Expo destinata a entrare nella Storia. L’Arabia Saudita risponde con Neom, la città del futuro: una metropoli da 500 miliardi di dollari da costruire sulle sponde del Mar Rosso.
I diritti umani negati. Il fiume di denaro, l’oro, il petrolio e i grandi progetti visionari non cancellano il tema irrisolto dei diritti umani. L’uccisione del giornalista dissidente saudita, Jamal Khashoggi è solo l’ultima di una lunga serie di violazioni in un’area del mondo dove permangono punizioni capitali, esecuzioni, pene corporali, soprattutto in Arabia Saudita. Nel 2019, per la prima volta un documento congiunto al Consiglio Onu per i diritti umani, sottoscritto da 28 Paesi, ha criticato apertamente la potente monarchia del Golfo. Donne e omosessuali sono i cittadini più colpiti da norme fuori dal tempo, supportate da una cultura che stenta a cambiare. Le nuove generazioni, attratte dai modelli occidentali, sono la vera, forse l’unica speranza che lo sviluppo possa accompagnarsi ad una reale evoluzione civile in grado di rispettare la vita e i diritti di ognuno. E’ questa forse la sfida più grande.